I frutti “avvelenati” della nostra politica industriale

Ma che idea ci si può fare “annusando” le cronache dello sviluppo industriale italiano degli ultimi trent’anni? Emerge un Paese in mano a delinquenti senza scrupoli, e abitato da incoscienti che, in fondo, se li meritano. Un Paese che fino ad oggi (e non in un passato remoto, come ogni volta qualcuno tenta di farci credere) ha seminato morte da Taranto a Casale Monferrato, da Piombino a Spinetta Marengo, da Porto Torres a Serravalle Scrivia nel nome di politiche industriali scriteriate, delinquenziali, irrispettose della vita umana.

Questa è l’Italia, ma sul banco degli imputati non c’è naturalmente nessuno. Sicuramente comunque non una classe di industriali sciacalli, o di politici prezzolati, o di sindacati spesso conniventi. Al più ogni tanto si individua un capro espiatorio, tipo un miliardario svizzero di 112 anni che, per quanto ne sappiamo noi comuni mortali, potrebbe pure essere un’invenzione mediatica, una proiezione di universi paralleli. E comunque cosa volete che gliene importi ad anziani miliardari svizzeri delle condanne pro forma della giustizia italiana, suvvia.

Purtroppo la realtà è che siamo stati per decenni la Cina d’Europa, e in tanti (italiani e non) hanno sgomitato per installare in Italia impianti industriali ad alto tasso di inquinamento: tanto si poteva, e anzi si veniva indicati pubblicamente come benefattori della collettività.

Parliamo di Ilva? Vedo che c’è un bell’affollamento di politici, partiti e sindacalisti, anche locali, a sostenere la teoria della botte piena e della moglie ubriaca. Ossia si produca alla grande, ma si bonifichi tutto, e naturalmente la salute e l’ambiente prima di tutto. Avete presente Cetto La Qualunque, il personaggio creato da Antonio Albanese?

Beh, a volte la realtà supera la fiction. Anche se rimango  convinto che la maggioranza dei nostri politici non siano “prezzolati”, ma solo pesciolini piccoli e impreparati, che per sopravvivere seguono la corrente.

Epperò rimane il dramma di montagne di veleni, all’Ilva di Taranto come alla Solvay di Spinetta e in centinaia di altri siti in tutto il Paese. Danni enormi causati da privati, a vantaggio del loro business e lucro, per i quali si prevedono, nella migliore delle ipotesi, bonifiche a spese nostre. E già questo è abnorme. Ma ben più grave è il fatto che, diciamocelo chiaramente, stiamo parlando di bonifiche burla: qualcuno ha capito come farà l’Ilva a risanare mezza Taranto, e a evitare che altre centinaia di persone continuino ad ammalarsi e morire di cancro?
E a Spinetta che ne è stata della mega bonifica proposta solo nel 2008 dall’allora presidente Amag Repetto, rispetto alla quale nelle intercettazioni del processo che comincerà in autunno pare emergano dialoghi significativi?

Ma no dai, della Solvay è meglio non parlare: abbiamo già constatato in passato che affrontando il tema ci cala l’audience, e il numero dei commenti. Mediaticamente è molto più conveniente dare un po’ di spazio ogni tanto alle “frescacce” che il mio omonimo onorevole generosamente regala “a comando”, ad esempio. Lì si che si scatena il consenso delle masse, la voglia di gogna, la rabbia popolare più sterile e “ciula”.

E. G.