Inquinamento e occupazione: l’eterno ricatto

Chi ha oggi il coraggio di sostenere pubblicamente che una fabbrica deve chiudere i battenti perchè inquina, devasta l’ambiente, probabilmente genera malattie anche mortali non solo per chi ci lavora, ma anche per chi vive entro una certa area?

Nessuno, quando ci si cala in realtà concrete, e si fanno i conti con una crisi occupazionale drammatica come la nostra. O meglio, nessuno che ricopra incarichi pubblici di tipo politico, sindacale e quant’altro. Mentre, naturalmente, se un libero cittadino di certe inquinanti attività sopporta solo i costi e i rischi, senza averne benefici diretti, è assai più libero di valutarle per quel che sono.

Sotto i riflettori abbiamo, a casa nostra, Solvay e Ilva (solo di “rimbalzo” per i fatti di Taranto, in realtà). Ma anche la Michelin ha un processo in corso intentato dai famigliari di numerosi ex dipendenti morti di cancro, e poi ci sarebbero le ex Fabbricazioni Nucleari, e nel basso Piemonte anche qualche altra fabbrica, o ex fabbrica, altrettanto pericolosa.

Insomma, siamo un territorio non meno devastato di Taranto, anche se spesso facciamo finta di non saperlo. E, anche in questo caso come per la debaclè delle finanze pubbliche, il problema è la totale mancanza di programmazione. Ovvero l’incoscienza con la quale, nei decenni scorsi, si sono imboccate strade (sottovalutandone la pericolosità, o comunque ritenendo che non ci fossero alternative) che ci hanno condotti allo stato di cose presenti.

Bella idea, quella di bonificare l’Ilva di Taranto, o l’area della nostra Solvay, senza mettere in discussione l’occupazione, anzi se possibile incrementando le attività.

Il punto, però, è se sia concretamente possibile, e ne esistano le condizioni, e l’effettiva intenzione. Oppure se siamo sempre ad un puro esercizio di slogan, in stile “botte piena e moglie ubriaca”.

Io sono scettico: mi fa abbastanza ridere (sì fa per dire) soprattutto constatare che “naturalmente oggi la produzione è sicura, i veleni sono roba del passato”. Intanto sono ancora tutti lì, quei veleni. E poi che nei diversi stabilimenti del territorio non se ne producano altri, e magari di peggiori, è tutto da vedere. O da scoprire, tra venti o trent’anni.

Quel che è certo, nel caso di Taranto come della Solvay di Spinetta, è che esistono esplicite intercettazioni telefoniche di addetti ai lavori talora spaventati e altre volte freddi e cinici. Ma sempre comunque concordi nella necessità di mistificare la realtà, e magari pure di “addolcire” la stampa, e ingraziarsi la popolazione con piccole elemosine. Ahi ahi, che brutti tempi che ci tocca vivere.

E. G.