La fuga del lavoro

Sarei molto tentato di parlare della Sicilia: dal punto di vista dei conti, e dei costi, una voragine che al confronto Alessandria sembra un esempio di buona gestione. Eppure, ci scommetterei, anche una realtà destinata ad una sorte ben diversa rispetto alla nostra.

Ma non buttiamola sul campanilistico, e continuiamo ad occuparci dei disastri di casa nostra. I dati sull’occupazione (meglio, sul mercato del lavoro “in panne”) di ieri li avete credo visti anche voi. E’ una waterloo, inutile girarci attorno: 51 mila persone in cassa integrazione e mobilità in tutta la provincia, e 32 mila e 500 disoccupati. Moltiplicate pure per due, se volete sapere quanti solo quelli veri, e aggiungeteci migliaia e migliaia di liberi professionisti e collaboratori di aziende che hanno salari da fame, e nessuna garanzia.

Ah, giustamente Silvana Tiberti (segretario provinciale Cgil) invoca chiarezza sull’emergenza Palazzo Rosso e partecipate, ricordando che non ci sono lavoratori di serie B, mentre ogni volta che “salta” una cooperativa sembra che si stia parlando di robot e non di persone: solo perché qualcuno non ha fatto vincere loro, a tempo debito, un concorso pubblico.

Siamo senza speranza? La speranza non deve mai morire, per carità: ma attenzione perché può trasformarsi in illusione, se non si ha la capacità (o la volontà) di contestualizzare un problema, e di inquadrarlo nella sua gravità.

Spero che tutti si siano ormai resi conto che non siamo di fronte ad una crisi passeggera, una sorta di influenza di stagione in un corpo sano. Qui è proprio il corpaccione che è vecchio e malato, perché a lungo ha abusato di alcuni vizi, diciamo così.

Certo, a molti di noi suona strano sentire dire che “la festa è finita, le vacche grasse sono passate” e così via. E in effetti non è che tutti abbiamo beneficiato allo stesso modo dell’ultimo ventennio di benessere sociale. Anzi.

Però il ventennio c’è stato, e gli alessandrini (come e più di tutti gli italiani) si sono beati di un sistema socio economico che non poteva reggere. E che sta esplodendo. Questo, temo, è l’inizio e non la fine della crisi: e non datemi del gufo, ve ne prego, perché non mi diverte neanche un po’ affermarlo. Però di gente che ci ha fatto ballare a lungo sul ponte del Titanic ce n’è stata anche troppa, quindi meglio aprire gli occhi e fare i conti con la realtà. Dura, amara, ma non irreversibile.

In genere i dibattiti non mi appassionano, e il rischio “bla bla” e “cerchio del pavone” è sempre dietro l’angolo. Però venerdì mattina alla Camera del Lavoro, impegni permettendo, un salto ce lo faccio di sicuro: mi sembra che alcuni nomi (Palenzona, Ghisolfi, Repetto ecc…) siano di quelli che contano, e sanno. Speriamo possano offrire, se non soluzioni immediate, almeno una visione prospettica “post emergenziale”.  O, in alternativa, un elenco di mete esotiche dove possiamo rendere meno greve il nostro futuro.

E. G.