196 milioni di euro di debiti. Nei cassetti, e sotto i tappeti, del Comune di Alessandria ora non dovrebbe esserci più nulla di occultato, almeno secondo le dichiarazioni del sindaco Fabbio (nella foto).
L’operazione trasparenza indubbiamente è stata “stimolata” dalla Corte dei Conti, cui spetterà (immagino dopo il ballottaggio, a questo punto) comunque la parola definitiva.
Certo, dando per scontato che la fotografia scattata ieri dalla giunta di centro destra sia completa ed esaustiva, senza più angoli bui, viene da chiedersi perché non prima. Perché non cinque anni fa, ad elezioni appena vinte. E poi perchè non una volta l’anno, tutti gli anni. Solo così un sindaco (di qualsiasi orientamento) può oggi essere credibile agli occhi degli amministrati.
Non perché la politica (e neppure il ruolo degli amministratori locali) si debba ridurre a mera contabilità, ma perché è giusto che gli elettori/contribuenti sappiano come vengono spesi i loro soldi, e qual è lo stato della salute del loro Comune.
La situazione alessandrina, è evidente, è drammatica. E’ vero che Fabbio propone anche alcune soluzioni per gettare il cuore oltre l’ostacolo, ma l’impressione è che ci arrivi in maniera davvero tardiva, e senza aver fatto reale chiarezza su come sono state spese le risorse pubbliche nell’ultimo quinquennio. Perché i debiti non sono tutti uguali: un conto sono gli investimenti che fanno crescere un territorio, creando magari presupposti di sviluppo, e un conto sono i denari “scialati” con leggerezza in progetti improbabili.
Poi, naturalmente, c’è il macigno dei troppi dipendenti dell’universo Palazzo Rosso (comune più partecipate), che l’attuale sindaco riconosceva come esistente già nel 2007, ma che non ci pare abbia, complessivamente, affrontato in maniera risolutiva.
Infine, non convince per niente l’argomentazione (ultimamente sotto traccia, ma sventolata a lungo) secondo cui abbiamo sì tanti debiti, ma anche 500 milioni di patrimonio immobiliare. Chiedete al management di Svial e Valorial quale mercato reale (e quindi quale valore) ha attualmente quel patrimonio, e poi ne parliamo seriamente.
Insomma, siamo mal messi, è evidente. Tra gli addetti ai lavori l’opinione più gettonata è che, a giugno, al nuovo sindaco (quale che sia) e al nuovo consiglio comunale sarà affiancato un commissario ad acta (c’è chi dice tre), per gestire il dissesto e far fronte ai debiti pregressi. Mentre alla politica resteranno, per un quinquennio, le nozze coi fichi secchi. Scelte impopolari e risorse ridotte all’osso. Non che, guardando allo scenario nazionale, si avverta poi molta dissonanza, sia chiaro.
Il problema è capire, concretamente, quanto la popolazione potrà, e vorrà, sopportare una situazione di estremo disagio, rispetto alla quale ha, in fondo, responsabilità modeste, ma non inesistenti. Eh sì, perché i politici in fondo li abbiamo sempre scelti noi: quelli romani e quelli locali. E, nel giro di 12 mesi, saremo richiamati a farlo: tra pochi giorni su scala comunale, e al più tardi la prossima primavera alle politiche nazionali. Ce la possiamo fare? Mah: io in giro di entusiasmo ne avverto ancora poco. E non è che sia gran che consolante constatare che anche la Francia ha i suoi bei problemi da risolvere.
E. G.