The family

La cartella chiamata “the family” che sarebbe stata trovata nella cassaforte del tesoriere della Lega Nord (un personaggio il cui curriculum parla da solo: leggetevelo, in rete trovate di tutto di più) è in fondo l’ennesimo riedizione dell’italico, e più che mai anche padano, “tengo famiglia”.

Persino nella nostro piccola (quasi misera) competizione per Palazzo Rosso io sostengo da tempo che i personaggi più credibili, o meno sospetti, sono quelli senza una famiglia da mantenere (o a cui restituire favori). Perchè, appunto, non esposti alla quasi certezza di cui sopra.

Ma rimaniamo sulla Lega. Che ha rappresentato forse la più grande occasione perduta degli ultimi trent’anni di politica italiana. Ricordiamocelo: prima di Bossi, chi aveva provato a contestare i fondamenti del sistema era finito in galera, a volte anche con accuse pretestuose e ridicole, o comunque con pene sproporzionate.

Gli stessi leghisti, durante i loro primi anni di attività, erano tenuti sotto speciale osservazione dalle forze dell’ordine, e lo sapevano. Il merito del Senatur fu sicuramente quello di riuscire a non farsi chiudere nel recinto, con l’etichetta di sovversivo. Nel tempo, però, a forza di compromessi che non stiamo qui ad analizzare ora, dello spirito della Lega degli inizi (capace per prima di interpretare il malessere della gente comune nei confronti di un sistema completamente corrotto, che si è trascinato fino ad oggi) è rimasto solo qualche slogan, e i fatti di questi giorni non fanno che confermare ciò che, anche sul nostro territorio e con episodi eclatanti (pensate al mio omonimo), già era chiaro da tempo. La Lega nella Seconda Repubblica si è integrata nel sistema che diceva di voler, se non abbattere, radicalmente trasformare, e ne ha fatti suoi vizi e metodi.

Non si può parlare di mele marce, quando emerge chiaramente uno stile non dissimile a quello craxiano degli anni d’oro. Ora toccherà forse a Maroni, o non so a chi altro, tentare di convincere un elettorato leghista in stato confusionale che non tutto è perduto. Buona fortuna. Io da qualche mese, per interesse personale di osservatore, seguo con attenzione il magma dei movimenti autonomisti e indipendentisti, soprattutto grazie al giornale online www.lindipendenza.com, e ho come l’impressione che il Veneto, in particolare, sia in una situazione esplosiva.

Ora c’è chi invoca dimissioni di massa, a seguito di quelle di Bossi: addirittura qualcuno sostiene che dovrebbero dimettersi anche i vertici alessandrini del movimento leghista, o il candidato sindaco. Mi pare esagerato, anzi fuori luogo. Quel che è certo, però, è che da oggi anche la Lega è ufficialmente, agli occhi dei suoi stessi elettori che la credevano diversa, sullo stesso piano di Pdl, Pd, Udc e altre belle compagnie. Partiti da votare turandosi il naso, per alcuni. Partiti da cancellare, per altri. Comunque una delle principali cause del baratro in cui giace il Paese.

Questo dovrebbe far riflettere le poche teste pensanti e non disoneste che ancora si spera possano esserci nella nostra classe dirigente: un popolo che ha in disprezzo l’intera classe politica che lo governa è un popolo oppresso. Le vie d’uscita da queste situazioni storicamente sono due: rivoluzione (se preferite, cambiamento radicale), o dittatura. Io vedo il pendolo propendere pericolosamente verso la seconda opzione. Magari rivestita di tecnicismo, di sondaggi che sostituiscono le elezioni e di terrorismo psicologico di massa: “preferite perdere tutti i vostri risparmi, o che vi governi questo bel tipo?”. Viva la democrazia, appena la riconquisteremo.

E. G.

Foto in alto: la famiglia Bossi, in una felice foto d’antan.

Foto in basso: il tesoriere Belsito e il leader maximo Bossi, entrambi dimissionari, con la mano sul cuore.