[BlogLettera] Un’emergenza tira l’altra

Siamo arrivati al top. Ogni giorno non possiamo aprire il giornale senza trovarci di fronte ad una emergenza. Sembra che tutti i nodi accumulati in alcuni decenni di modus vivendi oltre le righe, vengano d’improvviso al pettine della nostra storia nazionale. L’Italia delle sfilate di moda, della Milano da bere, della Roma spensierata e godereccia, dello sballo doverosamente accettato, dei diritti acquisiti, sta sfasciandosi un giorno dopo l’altro.
Perbacco, adesso sta nevicando oltre i limiti e nei posti sbagliati!

E dire che gli ultimi inverni ci avevano abituati a temperature accettabili, senza  impegnarci troppo a spalare neve o ghiaccio. Adesso siamo invece costretti magari a tirare fuori dai cassettoni anche le mutande di lana ed i maglioni pesanti, capi di vestiario vecchi e probabilmente nemmeno firmati.

A Roma cinque centimetri di neve fresca mandano l’intero sistema dei trasporti cittadini in tilt e tutti si meravigliano e si scandalizzano, come se fosse colpa del Padreterno e non degli uomini se la città non è stata in grado di reggere la prova. Si trova la scusa che la città eterna non è preparata per un evento così eccezionale, ma allora non solo la neve è un evento eccezionale ma anche la pioggia a Roma è un evento eccezionale visto che in pochi mesi per ben due volte le fognature della città sono saltate, allagando interi quartieri.

Si è detto che una città così grande non può investire qualche milione di euro per acquistare le attrezzature per lo sgombero della neve, se poi in fondo il fenomeno si verifica raramente. Sarebbero soldi sprecati. Siamo d’accordo, visto che succede una volta ogni dieci anni ma, a parte che dalle immagini televisive abbiamo notato anche ben pochi badili e ben pochi spalatori, ci viene il dubbio se non fosse il caso, al verificarsi di tale evento naturale, di sospendere le attività almeno per un giorno ed invitare i romani a starsene a casa al caldo. Gli impiegati dei ministeri non avrebbero intasato le strade con le loro auto private mentre quelli comunali avrebbero preso il loro abituale cappuccino con brioche in casa senza scendere al bar in orario d’ufficio. Le strade principali sarebbero state tenute sgombre da camion e furgoni e disponibili per l’intervento dei mezzi della protezione civile che, forse, avrebbero anche potuto tentare di sgomberare la neve come normalmente succede in tante altre città d’Italia e non solo. Forse avrebbero anche funzionato meglio le linee metropolitane che, detto sottovoce, con quello che sono costate (tre volte tanto rispetto a quelle della maggior parte delle altre metropoli europee) si dovrebbe pretendere che smaltissero molto traffico in più di quel che fanno. Dicono che mancano i soldi per riparare le vetture. Forse vogliono altri stanziamenti statali straordinari oltre quelli già previsti dal recente decreto per Roma capitale.

Il guaio è che il delirio di onnipotenza non consente agli automobilisti di fermarsi neppure per un giorno! Ci siamo dimenticati che, per causa neve, non più tardi di sessant’anni fa le corriere del pubblico servizio potevano stare anche tre o quattro giorni consecutivi senza circolare e il mondo non si fermava, anzi erano gli anni in cui Alessandria città vantava ben diciottomila occupati nell’industria, senza contare il commercio ed i servizi. La gente di allora si arrangiava. Qualcuno stava a casa a dormire ma molti compreso il sottoscritto, all’epoca  studente alle medie, possono ricordare di aver camminato in fila partendo da Castelceriolo, con gli operai  dalle sei o sette del mattino, calpestando ben più di cinque centimetri di neve, per raggiungere a Marengo  l’autobus per Alessandria.

Nello stesso tempo leggiamo ogni giorno di emergenze che travolgono lavoratori ed intere famiglie. Non ho potuto fare a meno di leggere la storia di un poveraccio della provincia di Brescia, un italiano non un extracomunitario, trovato morto di freddo e di stenti in un garage dove viveva e lavorava in meno di dieci metri quadri, dormendo sulla sua vecchia macchina colà parcheggiata.

Era un falegname, separato dalla moglie (non divorziato, dato che il divorzio è destinato a diventare appannaggio solo per ricchi) che, perduto il lavoro nell’azienda in cui era occupato, si arrabattava a fare saltuari lavoretti con la poca attrezzatura di cui disponeva in quell’angusto locale affittato per poco. Lo hanno trovato con la testa reclinata sul fianco, al freddo e con solo qualche coperta. Nel locale dove viveva, servito da un lavandino con acqua, hanno trovato solo un pettine, uno spazzolino da denti ed un asciugamano.
Non risulta che abbia mai chiesto aiuto ai servizi sociali comunali ed il sindaco del paese, come tutti i vicini e conoscenti hanno negato di aver mai saputo dello stato di indigenza, di solitudine e di disperazione in cui era precipitato. Sembrava a tutti solo una persona semplice e dignitosa, che cercava di lottare contro la sfortuna.
Aveva solo quarantun anni.

C’è da chiedersi a questo punto: se ciò è potuto succedere ad uno che conosceva un mestiere, che aveva lavorato per anni e pagato magari regolarmente le tasse ed i contributi sociali, cosa potrà succedere a tanti giovani che oggi non possono vantare né un titolo di studio, per quel poco che vale ormai, né un mestiere né una qualsiasi abilità professionale. Cosa sarà mai di loro, dopo la morte dei loro genitori?
E’ una intera società che sta crollando, altro che balle, e quello che fa rabbia è che fino a pochi mesi fa ci venivano a raccontare che eravamo ancora la quinta o sesta potenza economica mondiale, solo perché qualcuno aveva fatto il conteggio del famoso PIL non si sa con quali numeri e che non c’era da preoccuparsi perché la gente affollava comunque i centri commerciali e le agenzie di viaggi non riuscivano a tener dietro alle prenotazioni!
Che coglionata!

Luigi Timo