L’avete presente tutti la vicenda di Svial e Valorial? Nei giorni scorsi ne ha parlato La Stampa, e poi via via ha rilanciato qualche altro media locale. Merita senz’altro una riflessione aggiuntiva, però, la storia di queste due partecipate del Comune di Alessandria: una, Svial, creata dalla giunta Scagni; l’altra, Valorial (nella foto il cda), dalla giunta Fabbio. Entrambe con il compito di ‘cartolizzare ‘ i beni comunali. Il che significa, in sostanza, venderli sulla carta, facendosi anticipare dagli istituti di credito fino all’85% del loro valore, e trasferendo quei soldi cash alle esangui casse dell’ente.
Attenzione, perchè il giochino è tutt’altro che stupido, anche se per noi cittadini un po’ oscuro. Perchè mai, infatti, il Comune non può vendersi direttamente gli immobili, o al limite ipotecarseli (perchè di questo alla fine si tratta, in soldoni) con le banche?
Qualche ottimista sostiene che il patrimonio immobiliare di Palazzo Rosso supera i 500 milioni di euro, mentre sempre valutazioni a spanne parlano di non più di 100 milioni di euro di debiti vari.
Ma, al di là del fatto che gli immobili poi bisogna trovare chi davvero li compra, mi è stato spiegato in ‘camera caritatis’ (e naturalmente se ci sbagliamo saremo ben lieti di essere corretti: il nostro è solo un blog da cittadini inesperti) che in realtà un ente pubblico non può vendere i propri palazzi e terreni per pagare gli stipendi, per dire, o per utilizzarli su altre voci della spesa corrente. Deve invece per forza utilizzarli in conto capitale, per comprare altri immobili, realizzare opere pubbliche come i ponti, o restaurare il patrimonio esistente.
Qualcuno però negli anni scorsi (pare l’ex ministro Tremonti, ma anche qui accettiamo smentite) ha inventato la scorciatoia: creare società strumentali, che si procurano il denaro tramite le banche, e lo passano all’ente: che a quel punto può utilizzarlo senza più vincoli di sorta. Un escamotage all’italiana, insomma.
Lo specifico di Svial e Valorial, però, starebbe nel fatto che di operazioni di successo (ossia vendite a prezzi congrui) ne avrebberro realizzate assai meno del previsto. Talora, anzi, fatto 100 il valore iniziale e 85 l’anticipo (naturalmente con congrui interessi) delle banche, la vendita finale sarebbe poi avvenuta ad una cifra inferiore a quella di partenza, o non sarebbe avvenuta affatto. Da cui l’incisivo incipit dell’articolo de La Stampa: “Non crediti, ma debiti”.
Per cui leggiamo: “Svial ha chiuso il bilancio 2010 con un passivo di 2 milioni e 97 mila euro portando il capitale sociale ben al di sotto del minimo legale, l’amministrazione comunale nell’assemblea dei soci il 18 novembre ha comunicato che avrebbe rinunciato ai propri crediti, situazione che il 30 dicembre è stata confermata dalla determina del ragioniere capo Paolo Ansaldi. Valorial, invece, ha chiuso il bilancio 2010 con una perdita di bilancio di 2 milioni e 533 mila euro, cifra superiore a un terzo del capitale sociale, e l’amministrazione comunale con una determine del 29 dicembre ha contribuito a ripristinare il capitale non solo rinunciando a 540 mila euro di credito, ma anche mettendoci un altro milione e 265 mila euro“.
Qualcuno poi mette in discussione il management ‘congiunto’ delle due società: il presidente Paolo Bobbio (sipendio lordo 24 mila euro, secondo il sito del Comune di Alessandria) e il direttore Dario Pavanello (stipendio lordo non pubblicato, ma mi dicono circa 50 mila euro. Se è così oggettivamente non molto, rispetto a tanti altri). Su Pavanello qualcuno mi ha anche segnalato che non è neppure laureato, ma anche questo non significa molto, se persistono ‘acclarate e specifiche competenze’, che evidentemente il sindaco Fabbio ha riscontrato e verificato.
Rimane la domanda di fondo, dal momento che il Comune in questi giorni ha ricostituito il capitale delle due società, rinunciato ad ingenti crediti da entrambe e rifinanziato Valorial: ne vale la pena? Non esistono strade meno complesse e più efficaci per cercare di vendere (e non svendere) gli immobili dell’ente, patrimonio di tutti gli alessandrini?
E. G.