Sull’ipotesi, che continua a circolare e che nessuno ha ancora smentito ufficialmente, di trasformare la ex Caserma Valfrè di Alessandria in hub regionale di accoglienza per i migranti Marco Bologna, presidente provinciale della Croce Rossa, si è già drasticamente espresso: “sarebbe una stupidaggine”.
Lo abbiamo incontrato per provare ad andare oltre, e raccontare a tutto tondo cos’è oggi la Croce Rossa, come si è riorganizzata territorialmente e quali sono i suoi compiti istituzionali, di ‘soccorso’ sul fronte sanitario ‘ordinario’, e anche naturalmente quale ruolo (primario, in verità) le spetta nell’ambito della gestione di ‘emergenze’, dalle alluvioni ai terremoti, fino appunto alla questione migranti. Marco Bologna è figura ‘vulcanica’ e competente, storico sindaco di Piovera, e da tanti anni protagonista del mondo del volontariato, sia che si tratti di Croce Rossa che di Protezione Civile. Per cui non si è sottratto, e ci offre uno ‘spaccato’ interessante della nostra situazione territoriale, per i settori di sua competenza.
Presidente Bologna, partiamo subito dall’attualità, ossia dai migranti. Lei ha drasticamente bocciato, nelle settimane scorse, l’ipotesi di utilizzare la Valfrè come hub di prima accoglienza. Perché?
Per diverse ragioni, sia tecniche che logistiche. Cominciamo col dire che la Valfrè, così come è oggi, non è utilizzabile, e andrebbe risistemata. Ma soprattutto, 600 persone sistemate in un edificio a 3 piani sono di difficilissima gestione sul piano della sicurezza: non stiamo parlando di 600 militari di leva, ma di persone di etnie diverse, in cui poi inevitabilmente si generano anche conflitti. L’esperienza, eccellente, di questi due anni di gestione dell’emergenza migranti a casa nostra mostra che la strada corretta è quella dei piccoli gruppi di massimo 30-40 persone, se possibile omogenei. In caso di rivolta anche di un piccolo gruppo, al terzo piano della Valfrè, chi dovrebbe intervenire? L’esercito? Insomma, ipotesi assurda. Ma poi parliamo di una struttura in centro città. E men che meno serve creare un Lazzaretto di tipo sanitario, sarebbe una follia: in realtà la metodologia sin qui implementata, in cui la Croce Rossa ha un ruolo di primo piano, funziona benissimo anche nell’identificare e curare persone con scabbia, pidocchi o altri problemi di questo tipo. Con un’attenzione personalizzata, e senza creare ghetti.
Ci spieghi come funziona oggi: quali compiti ha la Croce Rossa sul fronte migranti?
La Croce Rossa, con le sue strutture nazionali e regionali, è naturalmente coinvolta sin dal primo passaggio, ossia nell’accoglienza nei porti, a partire da Lampedusa. Noi, su scala provinciale alessandrina, entriamo in gioco quando queste persone arrivano a Torino, o talora anche al porto di La Spezia. Prendiamo in custodia le persone assegnate alla nostra provincia dalla Prefettura, le trasportiamo e le sottoponiamo a tutto l’iter di visite di controllo, con l’ausilio delle nostre infermiere volontarie, e di medici del sistema sanitario che stabiliscono, in caso siano riscontrate malattie di vario tipo, quale deve essere l’iter di cura. In caso di scabbia, per fare un esempio, la persona viene pulita completamente, le si cambiano tutti i vestiti, e anche all’interno della comunità in cui risiede viene isolata per il tempo necessario, con tutti gli accorgimenti del caso.
La paura delle malattie, o comunque di emergenze di tipo sanitario, è in effetti uno dei timori più diffusi, anche se non l’unico.
Posso garantire che, almeno su scala alessandrina dove noi operiamo, la situazione è assolutamente sotto controllo, e non presenta nessun motivo di particolare allarmismo. Certo, la paura atavica delle malattie portate dagli stranieri, specie se di colore, esiste, inutile negarlo. Ma oggi siamo di fronte ad un fenomeno epocale che non può essere negato, o cancellato: semmai va gestito in maniera opportuna: e non parlo solo del livello sanitario. In realtà questi ragazzi, in gran parte giovanissimi, hanno in genere o l’obiettivo di ottenere lo status di rifugiato, o molto spesso quello di non fermarsi in Italia, ma di procedere verso l’Europa, diretti in Germania piuttosto che in Svezia. Anche per questo spesso rifiutano di farsi identificare con le impronte digitali: e per questo vengono denunciati, ma altro non si può fare. Un aspetto burocratico preoccupante, peraltro, è che le commissioni ad hoc ci mettano spesso un anno o anche più per valutare i singoli casi, e decidere in merito allo status di rifugiato; che peraltro viene riconosciuto in media ad uno straniero su dieci.
E gli altri nove?
Appunto, che si fa? Dopo un paio d’anni che sono qui, e che hanno pure imparato un po’ d’italiano, li si rimpatria a forza in paesi dove non vogliono tornare? E’ qui che occorre più chiarezza: comunque, nel frattempo gran parte di questi ragazzi è disposta a darsi da fare. Da noi lavorano in Cittadella, nei cimiteri, e potrebbero diventare anche una risorsa per tanti piccoli comuni in semi abbandono.
Parliamo di Croce Rossa alessandrina presidente Bologna: da quando c’è lei alla guida cosa è cambiato?
Io sono qui dal 2010 in realtà: prima come commissario straordinario, e da un paio d’anni da presidente eletto. Nel quinquennio sono cambiate tantissime cose, io credo in meglio, sia su scala nazionale che locale, soprattutto per effetto del decreto Balduzzi, nostro concittadino. In pratica la Croce Rossa è rimasta ente pubblico a livello nazionale e regionale, il che è corretto, considerato il suo ruolo sia internazionale che a livello paese. La novità importante, però, è che oggi su scala provinciale siamo onlus e non più ente pubblico, con tutta una serie importante di conseguenze a livello burocratico e operativo.
Ossia?
Maggior autonomia, snellimento, e responsabilità. Da ente pubblico nazionale, per dirle, anche solo decidere che era necessario comprare un tavolo o della cancelleria era una tragedia. Oggi decide il presidente e decidono gli organismi locali, assumendosene la responsabilità. Facciamo un esempio serio? Parliamo della palazzina di nostra proprietà in zona Caserma Vigili del Fuoco? Tanto me lo chiederebbe, immagino…..
Immagina bene….ci dica come stanno le cose.
Tre anni fa feci fare una perizia, che valutò l’immobile (certamente già deprezzato rispetto al passato: ma quel che è successo in Italia lo sappiamo bene) 460 mila euro, e c’era un privato che, naturalmente con regolare gara, sarebbe stato interessato ad acquistare. Ma, appunto per la logica della gestione centralizzata dei beni, fu impossibile seguire quella strada, e l’immobile lì rimase per un altro anno e mezzo, prima di essere inserito in un’asta nazionale dei beni della Croce Rossa. E sta ancora lì, mentre nel frattempo quel privato ha ovviamente battuto altre strade…
Presidente Bologna, su quell’immobile peraltro si potrebbe scrivere un romanzo…
La vicenda pregressa io non l’ho vissuta, e risale agli anni Novanta, quando la Croce Rossa lo acquistò da Alessandria 2000, con l’obiettivo di farci la nostra nuova sede. Da allora appunto di acqua sotto i ponti ne è passata tanta, a livello locale e nazionale. Quel che è certo è che oggi l’immobile, che ha copertura in eternit, è stato comunque messo in sicurezza, con sostituzione delle lastre in condizioni non più accettabili, e con una serie di inferriate che rendono impossibile entrarci, a meno di un’operazione di ‘scasso’ con fiamma ossidrica. Questo perché, di recente, ci sono state anche occupazioni abusive. Quel che è certo è che le strategie dell’ente, a livello nazionale, sono molto mutate, e che l’immobile è a tutt’oggi in vendita, tramite asta. Prima o poi immagino che qualcuno lo acquisterà.
Come siete organizzati oggi, su scala provinciale? Quanti dipendenti, e per fare cosa?
Oggi abbiamo complessivamente circa 150 dipendenti, di cui una quarantina sono ancora dipendenti pubblici a tutti gli effetti, per i fini istituzionali dell’ente. Mentre oltre un centinaio dipendono direttamente dalla nostra Onlus, con contratto privatistico. E poi, naturalmente, abbiamo ancora e sempre quella straordinaria risorsa che sono i nostri volontari: sono circa 2.500 persone su scala provinciale, persone generose e preparate, che seguono un preciso iter teorico e pratico di preparazione, e di costante aggiornamento. Senza di loro molte delle nostre attività, e la copertura del territorio 24 ore su 24, sarebbero assolutamente impossibili.
Col l’introduzione del 118 cosa è cambiato, sul fronte del soccorso?
Molto, e in meglio: per noi operatori, e soprattutto per i cittadini che usufruiscono del servizio di pronto intervento, che è la cosa più importante. E’ sparita qualsiasi logica concorrenziale fra strutture di intervento, e anzi da noi in particolare tra noi, la Verde e Castellazzo Soccorso esiste una cooperazione molto forte, su tutti i fronti. Ma, appunto, oggi è lo stesso 118 ad organizzare la disponibilità e gli interventi degli equipaggi, con un principio di turnazione nel tempo, e facendo sempre uscire, là dove necessario, ambulanze iper attrezzate, e con a bordo medico e personale infermieristico, oltre all’elicottero quando opportuno. Poi naturalmente noi, come Croce Rossa, svolgiamo anche una serie vasta e importante di altri servizi, in convenzione con la Asl (dai trasferimenti di malati da una struttura ad un’altra, al trasporto di dializzati o altri malati che necessitano di spostamenti costanti da casa alle strutture sanitarie), ma anche con privati che si rivolgono a noi per specifiche necessità. E non scorderei le attività legate alla raccolta di sangue, con forte sensibilizzazione della popolazione, a partire dalle campagne informative nelle scuole. Del resto, molti dei nostri volontari si avvicinano alla Croce Rossa proprio in età scolastica, e poi rimangono con noi, pur modulando i loro impegni in base ai percorsi personali, per tutta la vita.
E poi ci sono le emergenze, presidente Bologna: del migranti abbiamo già detto, ma non si possono ignorare le alluvioni, altro elemento caratterizzante di casa nostra…
L’ultimo caso importante è quello che ci ha visto impegnati, lo scorso autunno, in occasione delle alluvioni che colpirono mezza provincia, ma in particolare Gavi e la Val Lemme. Anche qui, la Croce Rossa opera naturalmente in stretta sinergia con la Protezione Civile e la Prefettura, e con le strutture nazionali. A Torino abbiamo un centro operativo regionale di eccellenza, mentre in provincia, dopo la tragica alluvione del ’94, abbiamo creato una colonna mobile, dotata di automezzi, gruppi elettrogeni e altre attrezzature, in grado di attivarsi in due ore, per fronteggiare qualsiasi emergenza.
Lei è stato a lungo sindaco di Piovera, che è il suo paese. E’ li che nacque la sua passione per il volontariato, inteso come Croce Rossa e come Protezione Civile?
(sorride sotto i baffi, ndr) Certamente sì: sono stato sindaco dal 1985 al 2004, si figuri. Poi per fortuna per legge mi sono dovuto fermare: ma Piovera è la mia comunità, e lì sono davvero tutti straordinari sul fronte dell’impegno sociale, e lì decidemmo dopo l’alluvione di dare vita al presidio locale della Croce Rossa: all’inizio soprattutto per far fronte alle esigenze dei tanti anziani: consideri che all’epoca non esisteva il 118, ovviamente. Da allora strada ne abbiamo fatta tanta insieme, e ci sono ancora tanti progetti che potremo realizzare, perchè la disponibilità delle persone a prodigarsi per la comunità è rimasta per fortuna esattamente la stessa di un tempo.
Ettore Grassano