Al processo Solvay in Corte di Assise di Alessandria l’avvocato Domenico Pulitanò in una epica arringa di otto ore mi ha degnato, per quantità e intensità di citazioni, quale nemico numero due, dopo il pubblico ministero Riccardo Ghio. In effetti, nella mia altrettanto lunga testimonianza, avevo dimostrato che il suo assistito, lei Bernard de Laguiche, non era imputato solo per la carica di amministratore delegato né per il teorema “non poteva non sapere”, degli arcinoti archivi “segreti” ad esempio, o delle denunce penali per i muri che trasudavano cromo dal suolo ad esempio, bensì per la sua conoscenza diretta e documentata dell’inquinamento dello stabilimento di Spinetta Marengo, in particolare della falda acquifera sottostante: cocktail di 21 veleni tossici e cancerogeni.
Infatti, nel dicembre 2002 in occasione della discesa in pompa magna del magnate belga (sempre lei) alla Confindustria di Alessandria, pasticcini e champagne, le avevo inviato tramite fax alla sede di Bollate una lettera di denuncia ambientale che era stata anche pubblicata su tutti i giornali. S’il vous plait, ma questo “Balzà” è sempre quello là déjà vu: non può che aver chiesto all’omologo Carlo Cogliati che le aveva venduto Ausimont dopo una trattativa internazionale di due anni puntualmente commentata da Balza sui giornali. E Cogliati (imputato per 18 anni di reclusione) che averle risposto: sì, è quel rompicoglioni, il “sorvegliato speciale” che da anni cerchiamo di buttare fuori, io stesso ho tentato di licenziarlo ma sono stato condannato. Parbleu, e ce l’ha sempre con il tormentone dell’Osservatorio ambientale della Fraschetta.
Eh già. Appunto uno dei dieci punti rivendicati era (ed è nel 2014) proprio l’ “Indagine idrogeologica: sui rilasci nella falda, gli impianti colabrodo, le colline innaturali, i depositi, le discariche illegali”. Ma lei, monsieur De Laguiche, quel milione di metri cubi di veleni sotterrati che colano nell’acqua lo conosceva già, prima della mia lettera, diciamo la verità, sapeva tutto, acqua suolo aria, perché non aveva comprato da Ausimont a scatola chiusa, bensì oculatamente: era stato lodato e premiato a Bruxelles per aver spuntato per un tozzo di pane quella mela marcia. Ad ogni modo, se continua ad insistere, come fa il suo avvocato, che non sapeva niente: la mia lettera, autorevole senza immodestia, la smentisce, nero su bianco. Prova che lei ha continuato ad avvelenare e non ha provveduto a fare la costosissima bonifica, conseguendo invece utili stratosferici, mentre noi ci ammalavamo e morivamo di cancro. Dunque dolo. Dunque 16 anni e 9 mesi di reclusione. Dunque risarcimento dei danni alle persone e al territorio.
A proposito di dolo: adesso, monsieur De Laguiche, lei è in dorata pensione ai Caraibi e forse troverà il tempo di rispondermi: cosa ha provato quando è entrato nel bagno dei dirigenti a Spinetta e ha letto il cartello “acqua non potabile”, lo sapeva che nei nostri cessi l’avviso non c’era e noi bevevamo tranquillamente? Io per 35 anni, e anche in mensa, infermeria, nei reparti…
Oltre per la lettera aperta a Bernard de Laguiche, l’avvocato Domenico Pulitanò ha preso di mira la mia testimonianza in merito all’ubicazione degli archivi “segreti” agli enti pubblici e “riservati” ai dirigenti, contenenti le prove del dolo e poi sequestrate del PM: “l’archivio Parodi” che De Laguiche dice di non aver conosciuto benchè situato blindato a fianco del suo ufficio a Bollate, “l’archivio Canti” a Spinetta Marengo che resistette blindato al nostro tentativo di forzare la serratura (ma riuscimmo a rubare una importante secretata relazione). L’ha presa di mira anche per aver dimostrato che De Laguiche non può non aver conosciuto le denunce in Procura per i muri che trasudavano cromo esavalente dal suolo, culminate poi nel licenziamento di nostri tre iscritti a Medicina democratica. Pulitanò non ha infine tollerato che affermassi che non è credibile che il capo di una multinazionale chimica non conoscesse l’indagine epidemiologica dei cinesi Zhang e Li per il cromo esavalente assunto mortalmente per via orale.
Ce n’è abbastanza perché il pubblico ministero Riccardo Ghio abbia chiesto per Bernard de Laguiche, e gli altri sette imputati, la condanna ai sensi dell’articolo 439 del codice penale: “Chiunque avvelena acque destinate all’alimentazione, prima che siano attinte o distribuite per consumo, è punito con la reclusione non inferiore a 15 anni”. L’interpretazione a questo articolo mi pare chiara, anche dopo aver ascoltato per ore Domenico Pulitanò azzeccagarbugliare come solo il più famoso e costoso cattedratico in circolazione da 50 anni sa fare. Le acque della falda della Fraschetta, una delle più importanti del Piemonte, a cos’altro sono destinate se non all’alimentazione? Alla balneazione? E non potenzialmente destinate all’alimentazione, ma direttamente. Infatti da questa falda pescava illegalmente il pozzo 8 dato da bere ai lavoratori e ai cittadini di Spinetta Marengo, da questa falda pescano i pozzi privati e i pozzi pubblici dell’acquedotto del Comune di Alessandria e non solo, alcuni dei quali già chiusi per avvelenamento e altri che lo saranno perché la bonifica è stata omessa dolosamente -l’altro capo di imputazione- da De Laguiche e soci. Anzi, il Ministero dell’Ambiente, fonte non sospetta, ha testimoniato con franchezza in aula che dubita perfino che tale bonifica sia tecnicamente possibile.
Il Pubblico ministero ha chiesto una condanna per attentato all’incolumità pubblica: l’avvelenamento delle acque “prima che siano attinte o distribuite per il consumo”. Un reato molto grave. Non ha invece chiesto la condanna per tentato omicidio o per omicidio: avvelenamento delle acque dopo che siano state attinte o mentre sono distribuite per il consumo. Un reato altrettanto grave.
Lino Balza – Alessandria