L’Italia parla sempre più cinese. Dopo l’investimento (1,3 miliardi di euro) della People’s Bank of China, la banca centrale di laggiù, per entrare in Eni lo scorso marzo, in questi giorni si formalizzerà a quanto pare l’ingresso di Pechino in Snam e Terna. Si parla di un altro paio di miliardi di euro, da parte della State Grid Corporation of China (Sgcc), prima utility pubblica al mondo,
per il 35% della Cdp Reti, la holding che controlla Snam e a breve anche Terna, con quote di circa il 30%.
Peraltro, guardandosi attorno, non mancano anche accordi sul fronte arabo, a cui è legato l’ennesimo tentativo di salvataggio di una compagnia aerea di bandiera, Alitalia, che nei decenni è costata agli italiani (compresi i tanti che non hanno mai volato) un autentico sproposito.
Queste operazioni, nel loro complesso, si chiamano svendite di Stato. Il premier Renzi, che in capriole dialettiche sovrasta certamente Letta e Monti, e se la gioca alla pari solo con il suo grande alleato Berlusconi, saprà certamente valorizzarle in altro modo ai nostri occhi, ma la realtà è che quando un Paese vende le reti di distibuzione dell’energia si consegna, a mani alzate, al conquistatore di turno.
E a noi viene in mente una vecchia commedia francese degli anni Sessanta in cui le truppe militari cinesi invadevano pacificamente Parigi, conquistando la Tour Eiffel e tutto il resto. Come sempre il cinema sa essere visionario e anticipatore, anche se per ora i grandi capitali d’Oriente hanno preferito orientarsi su Roma, e su un Paese decisamente più facile da assoggettare. Diciamo pure che non aspettavamo altro. Sicuri però di aver ben calcolato tutte le possibili conseguenze?