Questa volta, amici “corrierini”, vi parlerò di un comico alessandrino dei primi ‘900, assolutamente dimenticato e che meriterebbe, con Primo Cuttica e Libero Costa (di cui vi parlerò prossimamente), per aver portato la nostra congenita ironia in giro per l’Italia, di essere ricordato magari con una piccola mostra-rassegna.
LUCIANO MANARA
Dai Caffè concerto, al Teatro, al Cinema Muto con un ultimo atto nel sonoro
Discorrere con Manara, si diceva al suo tempo, era sempre una cosa difficile perché mai si poteva sapere se quest’uomo, quando ti rispondeva, parlasse sul serio o per burla.
E quando parlava, bisognava carpirgli la verità attraverso suoi congeniti ingrandimenti mentali, perché egli era in grado di inventare un romanzo da principio alla fine attribuendosi, senza scomporsi, la parte del protagonista.
Nero come una cornacchia, alto, segaligno, scimmiesco nel volto quando egli leggermente lo deformava per imprimergli le perfette linee somatiche del nobile quadrumane, col suo bianco fox terrier che teneva costantemente in braccio di giorno, e nel proprio letto di notte, freddurista a ripetizione, cento volte all’ora, in modo sbalorditivo, egli aveva saputo conquistarsi in pochissimo tempo, nei maggiori “Varietà” d’Italia, una tale notorietà ed una tale simpatia da farsi riconfermare per settimane e settimane, facendo sempre affollare le sale fino all’inverosimile, obbligando all’applauso anche chi discuteva il suo genere d’arte.
Eseguiva le imitazioni dei maggiori artisti di prosa facendo sbellicare dalle risa il pubblico.
Era noto all’epoca un certo grido interrogativo su “Casta Diva” della Norma, che fu per anni un segnale di fischio tra gli studenti che affollavano seriamente la vasta galleria del Maffei di Torino. Però, una sera, uno studente gliela fece grossa. Dalla galleria scaraventò in palcoscenico una “rivoltella” scacciacani, mentre il divo lanciava il famoso interrogativo: “Casta Diva???”. Attorno alla rivoltella era legato un cartello con sopra scritto: “Ammazzati!”. Manara non si scompose e, rivoltosi verso l’interlocutore, disse: “Ti conosco sai, sei un parente della povera Norma e non vuoi che la sfotta!”. E lì, una risata generale di tutto il pubblico.
Manara fu un istintivo del teatro. Aveva frequentato ad Alessandria soltanto le scuole tecniche ed il profitto degli studi era sempre stato pochino. Preferiva marinare la scuola a giorni alternati, per darsi allo sport della neve e del ghiaccio d’inverno e a quello del nuoto d’estate.
Cominciò a recitare qualcosa nei circoli che allora pullulavano nei rioni cittadini, poi fece il filodrammatico e si arruolò nelle file dei principali frequentatori del “Caffè Concerto Sona” in piazza Vittorio Emanuele (oggi piazza della Libertà), ove risiedeva stabilmente l’intera giornata. In quell’ambiente apprese le prime nozioni di quell’arte che doveva vederlo dominatore. Intanto, cresciuto negli anni, aveva dovuto impiegarsi, per far fronte ai bisogni della vita, nello stabilimento di cappelli “Borsalino G.B. fu Lazzaro”.
Era stato assunto nella veste di aiutante chimico, con l’obbligo però dal suo capo – dottor Gola – di non far nulla, per evitar disastri nella combinazione delle tinte. Più volte, in quell’epoca, lo assillò il problema amletico: continuare nelle tinte ai cappelli o fare il comico di varietà? Un bel giorno, si decise. Un amico, che conosceva il dirigente del Maffei, gli procurò la prima scrittura. Paga nessuna: vitto per lui e per l’amico che l’accompagnava al cimento. Fu un successone. La via era aperta e da allora marciò trionfalmente.
Burlone all’eccesso, ovunque andava egli combinava qualche scherzo al collega o all’amica di palcoscenico. Una volta, diramò un invito a sei persone per una colazione nella villa che il compianto Primo Cuttica – un altro alessandrino (nato a Quargnento) protagonista comico dei primi film muti (dove si era cimentato anche Luciano) – teneva a Valmadonna, presso Alessandria. E, per tutti e sei gli invitati, il buon Cuttica (che era un po’ corto di braccino) dovette provvedere alla meglio.
Memorabile un pranzo a base di polenta e uccelletti alla bergamasca, offerto ad Alessandria al Maestro Mascagni nell’occasione di una rappresentazione dell’opera “Amica” al teatro civico. Manara, che era tra i pochissimi invitati, giurò che avrebbe fatto ridere il Maestro e infatti vi riuscì, imitando – a fine pranzo – i frequentatori delle terme di Montecatini nei momenti culminanti della cura… Furono risate su risate…
Questo era Luciano Manara, dapprima eroe del Caffè Concerto e poi dell’avanspettacolo. Nessuno più pensava a lui, fino a quando Piero Angiolini, sul settimanale “Il Pungolo”, nel 1954, nella rubrica “Fatti e figure di un tempo”, titolò “Ricordo di Manara, artista e barzellettiere alla Dapporto”. Il comico, venuto a sapere dell’articolo (forse qualche amico qui rimasto gli inviò copia), così scrisse al giornale: «Roma, 18 ottobre 1954. Vostro “Pungolo” e vi ringrazio in modo caloroso. È un giornale ben fatto e utile. Leggendo l’articolo “Manara”, ho visto che mi avete fatto nascere nel quartiere Arzola. Prima di tutto si dice “Arsòra”, un rione che ai miei tempi parlava un dialetto un po’ diverso. Ad esempio, invece di dire “muraja” (muro) diceva “miraja” e per dire “insudici” non diceva “t’sporchi” ma “t’schenci la pitira”. Io sono nato, col consenso dei miei unici genitori, in via Bissati 8 angolo via Milano, ove sotto mio padre aveva il negozio e sopra l’alloggio con un lungo balcone d’angolo. Ricordo sempre con piacere i begli anni di scapestratissima gioventù ed ho presente tutti gli amici vivi e morti».
In quell’anno fu chiamato dal regista Duvivier ad interpretare la parte di Filotti nel primo “Don Camillo”, una bella conclusione di carriera e un bel riconoscimento per una vita dedicata allo spettacolo.