Siamo di fronte a un corto circuito mediatico. Una volta al mese, almeno, i media impazziscono per l’annunciata scoperta di nuovi test per l’individuazione anticipata di vari titpi di tumori. Una volta dall’America, una volta dall’Australia, una volta dall’Italia, istituti di ricerca di vario tipo fanno sapere alla stampa di aver individuato un nuovo medoto destinato a scoprire il tumore al suo primo nascere o addirittura anche prima.
L’ultima novità scientifica – ci informa Enza Cusmai, dalle pagine de ‘Il Giornale on line‘, con l’articolo di cui ci stiamo servendo – arriva dall’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma. Un progetto di ricerca, finanziato da Airc e Fondazione Umberto Veronesi, vuole scovare nel sangue dei biomarcatori diagnostici e prognostici di tumori di testa e collo, neoplasie sempre più diffuse e legate a stili di vita inappropriati. La ricerca è agli inizi ma si affianca a quella che ha fatto scalpore soltanto alcuni giorni fa annunciando che il semplice prelievo del sangue potrà scovare il tumore al polmone.
Ma andando indietro nel tempo sono numerosi gli annunci di marcatori che anticipando la diagnosi possono aprire la strada alla medicina preventiva, l’unica, a detta di illustri studiosi, in grado di debellare la malattia dei due secoli, che resiste impavida a tutti gli istituti di ricerca mondiali, tanto che in un servizio televisivo, un ricercatore si è lasciato andare a un’affermazione veramente desolante affermando che l’obiettivo vero cui sperano di arivare sarebbe la ‘cronicizzazione del tumore’, non la sua guarigione. Come a dire ce l’hai, te lo tieni, ma la medicina, un po’ come accade con l’Hiv, riesce a farti sopravvivere. Sempre meglio che morire, certo, ma a patto di entrare nel circolo allucinante dei morituri che di sei mesi in sei mesi aspettano la sentenza di vita o di morte, costretti nel frattempo a imbottirsi di pillole che magari per un certo periodo fermano il male, ma spesso portano con sè danni collateali anche non secondari.
Insomma mi sembra chiaro che bisogna rassegnarsi, visto che tutta la ricerca mondiale non è in grado di debellare una malattia in costante aumento almeno dai tempi del Ddt..
E neppure potremo esultare per l’avanzare della ricerca scientifica che è costretta a seguire protocolli rigidissimi che dilatano di anni e anni il periodo di tempo che intercorre tra l’annuncio della scoperta e la sua applicazione clinica.
Anzi, come certifica Massimo Gion, direttore del Centro veneto dei biomarcatori: «Attualmente non c’è un solo marcatore che possa essere usato in persona senza sintomi per capire se è sana o malata e usarlo nel caso di un check up sarebbe fuorviante».
Quelli che funzionano oggi sono davvero pochi: quelli dell’ovaio e della prostata; quelli genetici, l’individuazione del sangue occulto nelle feci, la colonscopia, la mammografia, lo screening del cancro all’utero.
«Bisogna trovare dei marcatori molto sensibili che vedono molti elementi sospetti ma molti specifici – raccomanda Gion – altrimenti rischi di fare la biopsia a 99 sani per trovare un solo malato».
Non c’è da stare allegri.