Sono cresciuto negli anni d’oro della ferrovia, un mondo di cui ho annusato le atmosfere, di cui mi sono nutrito sentendo parlare di deviatori, macchinisti e personale viaggiante prima ancora di veder circolare davanti a me un trenino tutto mio. Era un classico dell’epoca, un Lima, gentilmente offerto dalla Befana dei ferrovieri quando non avevo ancora sei anni. Un solo strappo alla regola l’anno successivo, un motoscafo a pila, difficile la far correre sul pavimento.
A casa mia tutto ruotava “attorno” ai binari. Dal nonno ex ferroviere, padre ferroviere, amici suoi pure. Senza scordare il sindacato, la cellula di partito, gli spostamenti fuori città, il cinema al chiuso e quello all’aperto.
Tutto aveva odore di ferrovia.
E poi c’era il fascino naturale che il viaggio portava in sé e che mi accompagnava nella crescita. Stazioni piccole e grandi degli anni sessanta e settanta, arredi in legno. Fiorite quelle della riviera ligure. Vivaci di giorno quanto di notte accoglievano senza paura e senza disprezzo barboni, passeggeri in ritardo, giovani saccopelisti che viaggiavano al risparmio. Viaggiatori che si trasformavano in calca, che spingevano le valigie attraverso i finestrini, deponevano i cappelli a tenere occupato il posto. L’assalto ai treni dei vacanzieri come dei ribelli messicani, o di partigiani contro gli invasori tedeschi. La prima classe rigorosamente distinta dalla prima e il cui costo era esattamente il doppio. L’Orient Express come la Transiberiana, oppure il mito del west con il cavallo di fuoco e i cinesi con il codino a treccia che, già allora, sulle pagine dei fumetti o nelle pellicole cinematografiche, preparavano da mangiare a lavoratori super sfruttati e speculatori senza scrupoli. Ladri di terre dei pellerossa e coloni.
E le atmosfere. Il treno come incontri occasionali, fette di vita nascoste dietro volti silenti, corrucciati, assonnati, speranze di migranti mescolate a odori di umanità, di campagna e formaggi del paesello. Fughe di spie e oppositori in cerca di asilo politico. E in ogni angolo di questa fetta di mondo si celava un mistero.
Ne hanno ben raccontato (prendendone un paio a caso) Agatha Christie con il suo capolavoro Omicidio sull’Orient Express (mitico treno che univa Istanbul a Parigi e che ho avuto il piacere di vedere nella sua versione più moderna, un lampo di brevissima durata, negli anni in cui prestavo servizio come doganiere nella stazione internazionale di confine a Domodossola) più volte riadattato per il cinema proprio come Sconosciuti in treno di Patricia Highsmith. Casi in cui il crimine matura nella fantasia.
Il tempo corre, seppure su altri binari, ma offuscato dagli stessi fumi delle locomotive. E il crimine preme per sfondare lo sbarramento della fantasia per compiersi anche nella realtà. E nessun colpevole è disposto a confessare. Ovvero il crollo verticale delle FS in nome di promesse mai mantenute, dei cosiddetti rami secchi, di una visione del futuro che ci doveva proiettare all’avanguardia, legato a slogan pubblicitari di un’idea di liberismo e di azienda del tutto ignota proprio a chi ne vantava principi e potenzialità economiche.
Chi, come il sottoscritto, nonostante tutto, viaggia spesso in treno, ha ben chiaro che il trasporto ferroviario si è profondamente impoverito. Ritardi su ogni fronte e linea, sporcizia, servizi inutilizzabili, sovraffollamento, porte che non si aprono e spesso che non si chiudono. Treni con la capacità di essere fuori luogo. Pericolosi, quindi. Servizio truffaldino, perché paghi con soldi buoni (e tanti e in anticipo) e hai un servizio finto, lontano da quanto si è pattuito, come orari e prestazioni. E spesso, ti fregano pure i pochi centesimi del resto nei distributori di bevande e merendine, e nessuno, nel buon nome di una stazione seria e accogliente, si degna di mettere mano a una situazione indecente, una roba triste quanto vergognosa. Pare quasi una metafora dell’Italia contemporanea.
In questo marasma si parla di Tav. Grandi investimenti, grandi affari, signori in grigio e dalla bella parlantina, politici che non sanno dire di no perché allineati su un solo schema di pensiero. Lavoro “per tutti”, operai, tecnici e consulenti. La Val di Susa in balia dell’acciaio e di una verità dalle mille sfumature. E chi la critica non pare essere degno di avere voce in capitolo, perché i giochi sono fatti.
Personalmente non so se sia utile o meno, non ho mai approfondito la questione. E non ho difficoltà a dire che sono prevenuto. So solo che ci sono altre priorità nel trasporto nazionale e soprattutto non credo che abbiamo di fronte a noi una classe politica e dirigenziale con la levatura morale da poter gestire un simile investimento economico.
Lungaggini. Soldi che non basteranno mai. Incominceranno le inchieste della magistratura, partiranno gli avvisi di garanzia. Colpevoli solo al terzo grado di giudizio. E non sempre. Una tiritera melodica nel nome del diritto. Un percorso tutto italiano che abbiamo già conosciuto troppe volte di fronte alle cosiddette grandi opere e alle valanghe di soldi. Un vortice che aspira investimenti e illusioni, destinato a mettere in risalto il crollo di un sistema prodotto dall’arroganza delle miserie umane di chi non possiede giuste competenza ma è solo anima di affari e potere.
Meglio una piccola stazione fiorita.