E’ ancora la Provincia, nonostante tutto, la giusta ‘dimensione’ per svolgere attività di coordinamento territoriale, e probabilmente ‘smontare’ quell’ente intermedio, puntando su un rapporto diretto tra la miriade di comuni e la Regione, è stato un errore di cui molti si stanno accorgendo, e che via via mostrerà pienamente i suoi negativi effetti. La pensa così Roberto Livraghi, segretario generale della Camera di Commercio di Alessandria (e presidente del Conservatorio Vivaldi), ma anche attento studioso della storia alessandrina, e da decenni protagonista della vita culturale di casa nostra (con non trascurabili ‘incursioni’ in politica: raccontammo il suo percorso professionale e di vita in una precedente intervista).
Oggi Livraghi è impegnato, al fianco del presidente Coscia, nel non facile iter di riorganizzazione della Camera di Commercio, e sul quel fronte i punti interrogativi sono certamente più delle certezze. Ma nella chiacchierata di oggi cerchiamo di andare oltre le pur importanti questioni camerali, e chiediamo a Livraghi di aiutarci a dipanare la ‘matassa’ del rilancio del territorio, e dell’individuazione della molto evocata e mai definitivamente individuata ‘cabina di regia’: a chi spetta l’onere e l’onore di ‘prendere per mano’ il basso Piemonte alessandrino, e di svolgere un ruolo di ‘primus inter pares’ nella proposta, nel coordinamento, nella messa a punto di progetti? Qualche settimana fa Mimmo Ravetti, consigliere regionale del Partito Democratico (già segretario provinciale del PD, e per un decennio sindaco di Castellazzo Bormida) ha indicato nei sindaci dei 7 centri zona del territorio provinciale le figure cardine di un progesso di rinnovamento/coordinamento territoriale, ma Livraghi non pare concordare completamente: “i sindaci in quanto tali rischiano inevitabilmente di essere portatori di interessi locali, legati alle loro specifiche comunità. Ma se li consideriamo come componenti del consiglio provinciale, il discorso cambia: almeno in questa fase di transizione, in cui ancora molto deve essere chiarito, e non solo sul fronte camerale, forse è proprio ancora la Provincia il centro di mediazione e coordinamento più logico ed equilibrato. Tanto che, probabilmente, sarebbe stato più sensato riformare drasticamente le Regioni, troppo lontane dai territori e di fatto essenzialmente concentrate sulla sanità, e preservate/potenziare proprio le Province”.
Dottor Livraghi, chiariamo subito a che punto è il percorso di trasformazione/aggregazione delle Camere di Commercio: ci sono novità?
Siamo in attesa, ormai dalla scorsa estate, dei decreti attuativi della legge Madìa, che dovrebbero dare indicazioni operative sostanziali. Per ora sappiamo che le Camere da 105 diventeranno 60. Con un vincolo dimensionale, ossia nessuna nuova Camera dovrà avere meno di 75 mila imprese iscritte (in provincia di Alessandria a fine 2015 erano 44.432, ndr), peraltro con alcune eccezioni di legge. Il vero limite di questa logica, a mio modo di vedere, è che finora non è stato evidenziato alcun elemento sul fronte della sostenibilità economica finanziaria: come a dire che, se due Camere entrambe ‘deboli’ decidessero di ‘sposarsi’, potrebbero farlo, purchè sia rispettato il vincolo dimensionale.
La Camera alessandrina è ente con i conti più che in regola, ma troppo piccola per starsene da sola. Con chi finiremo? Ci sono trattative in corso?
C’è un confronto aperto e trasparente con tutte le realtà piemontesi, a parte Torino (che è città metropolitana, con regole proprie), Cuneo, che è dimensionalmente autosufficiente, e il Verbano Ossola, realtà piccola ma di confine, e quindi rientrante fra le eccezioni di cui dicevo. In sostanza, quindi, il confronto è con Asti, con Novara, con Biella-Vercelli che già si sono accorpate tra loro, pur rimanendo in questo modo sotto la soglia delle 75 mila imprese.
Alessandria è territorio di snodi interregionali: in teoria potremmo anche guardare a Pavia, Genova, Savona o altre realtà?
Purtroppo no, e questo è un altro limite normativo, per realtà come la nostra. Poter guardare anche a territori limitrofi, con cui esistono forti relazioni e interessi economici e d’impresa, sarebbe interessante per aprirci anche a nuovi scenari. Ma non si può.
Dottor Livraghi, allo stato dell’arte le Camere di Commercio potrebbe scegliere un percorso interprovinciale x, le province un’aggregazione di area vasta y, altri corpi intermedi (dalle associazioni imprenditoriali a quelle sindacali) strade ancora diverse. Il rischio non è il caos? Mettiamoci dal punto di vista dei cittadini, e delle imprese…
Il punto infatti è proprio questo: cosa chiedono oggi i cittadini, e le imprese, alla ‘macchina pubblica’, nelle diverse sue articolazioni, e anche ai cosiddetti ‘corpi intermedi’? Chiedono servizi migliori, maggior qualità, maggior rapidità ed efficienza. Poco importa tutto sommato, al fruitore finale, quale scelta aggregativa/organizzativa produrrà il risultato: purchè il risultato ci sia.
Da anni a casa nostra discutiamo di declino, e della necessità di una ‘cabina di regia’ capace di generare una positiva inversione di tendenza. Ma, appunto, se ne parla senza mai venirne a capo. Di recente il consigliere regionale del PD Mimmo Ravetti ha indicato la figura ‘cardine’ del territorio nei 7 sindaci del capoluogo. Lei cosa ne pensa?
I sindaci hanno spesso la legittima aspirazione primaria di rispondere alle esigenze della propria comunità comunale: anche se è vero che gli stessi, all’interno del consiglio provinciale, potrebbero e dovrebbero rappresentare, collegialmente, un organo in grado di fare ‘sintesi’ degli interessi del territorio, per promuoverli in Regione Piemonte. E’ quest’ultimo soggetto peraltro, in questi decenni, ad aver mostrato pienamente i suoi limiti. Di recente ho fatto una ricerca, per capire a quanto risalgono gli ultimi documenti ufficiali con i quali la Regione Piemonte si è davvero occupata dei territori e della loro governance: in 45 anni di attività è accaduto davvero raramente, e mai di recente. Su questi temi la Regione non ha fatto quello che sarebbe dovuto essere parte del suo mestiere. Per questo oggi mi pare arduo pensare ad un percorso in cui i comuni si rapportano direttamente alla Regione stessa.
Qual è, intanto, lo stato di salute delle imprese alessandrine? Al di là dei dati numerici, che pubblichiamo stabilmente, c’è fiducia o aspirazione alla fuga? Si torna ad investire, o si sta alla finestra?
Siamo una provincia territorialmente e anche culturalmente (a livello di cultura d’impresa) molto complessa, e frammentata. Se scorriamo l’elenco delle aziende grandi e medio grandi presenti a casa nostra scopriamo che ospitiamo diverse multinazionali che hanno qui le loro braccia operative, ma il cervello altrove, ma anche multinazionali di casa nostra, che non hanno mai scordato le loro radici, e pur espandendosi in diversi continenti hanno mantenuto qui cuore e testa pensante. Mi vengono in mente i fratelli Guala ad Alessandria, ma anche tanti altri. Non vedo comunque complessivamente la tendenza alla fuga. Semmai certo l’esigenza di una maggior reattività del territorio, sul fronte delle istituzioni, e della burocrazia spesso ancora lenta e soffocante.
L’impressione di tanti però è che per l’alessandrino il vero antidoto alla depressione economica (che diventa poi anche psicologica, a livello sociale e individuale) sia non la mera conservazione dell’esistente, ma la capacità di essere attrattivi. E che su questo fronte ci sarebbe una seria responsabilità della classe dirigente locale, politica e non: non facciamo molto, insomma, per invogliare i ‘foresti’ ad insediarsi qui da noi….
Questo è certamente vero, è un elemento su cui occorre lavorare, tutti insieme, per migliorare. Penso, di nuovo, allo ‘snellimento burocratico’ di cui si parla da tempi, ma che per molti versi ancora non si vede. Ma anche a carenze e limiti di tipo infrastrutturale, che non ci hanno fino ad ora consentito di crescere come la nostra posizione logistica consentirebbe di sperare. Su questo fronte chiudo con una riflessione sul ruolo della Camera di Commercio, anzi delle Camere in generale, perché è questione condivisa: per anni, attraverso le attività del nostro Centro Estero, abbiamo lavorato per cercare di essere ‘attrattivi’, e per rendere alle imprese di fuori interessante e più agevole insediarsi a casa nostra. In epoca di crisi, questa attività se si è lungimiranti non viene abbandonata, anzi la si intensifica: invece le Camere si confrontano in questi anni con il taglio del 50% delle loro risorse. Ed è chiaro che questo ha ripercussioni fortissime su investimenti e attività di natura ‘attrattiva’.
Ettore Grassano