Non dimenticare le persone… [Lettera 32]

Giuliano Beppedi Beppe Giuliano

 

Gira parecchio sui social, in questi giorni, una foto splittata. A sinistra un giovane cestista con la testa afro che ascolta il suo allenatore, a destra un gigante pelato che teneramente accompagna, tenendolo per mano, un uomo molto vecchio che si aiuta col bastone.

Magari l’avete vista, fa da immagine a un breve testo motivazionale (Non dimenticare le persone che ti hanno permesso di diventare ciò che sei).

Perché circoli proprio ora è una delle tante stravaganze del web. L’allenatore, che come avete capito è anche il vecchio col bastone, è morto quasi centenario nel 2010.
Era una leggenda del basket universitario, John Wooden.
Aveva sette principi da cui non sgarrava mai, ci racconta Carlo Perotti in Forgotten Sons, bel libro di storie umane attorno al basket.

I principi di John Wooden: sii sincero con te stesso; rendi ogni giorno unNon dimenticare capolavoro; aiuta gli altri; abbeverati dai libri e dalla Bibbia in particolare; tratta l’amicizia come un’arte; creati un’armatura per i giorni difficili; prega ogni giorno ringraziando il Signore.
Allenava all’Università della California di Los Angeles, più nota con la sigla UCLA, e la portò a vincere dieci campionati in dodici anni, sette consecutivi.

In tre di questi la stella della squadra era un ragazzo magro e altissimo, Lew Alcindor poi diventato Kareem Abdul-Jabbar. Nel 1967 proibirono in tutti i tornei universitari la schiacciata per cercare di limitarne il dominio assoluto del parquet (senza successo).
Come avete capito, è lui l’altra persona nella foto.

Ho facilmente trovato un’altra foto scattata nella stessa occasione, altrettanto tenera. Il vecchio John Wooden abbraccia un altro gigante, con indosso una maglia dei Grateful Dead. Entrambi sembrano genuinamente felici come bambini.
Quando Lew Alcindor divenne professionista, per sostituirlo Wooden scelse appunto un altro gigante (con i suoi 2.11 ufficiali contro i 2.18 di Kareem), il rosso Bill Walton, campione di pallacanestro e di stravaganza (per dire: è alto anche lui 2.18 ma ha sempre dichiarato meno perché non gli piace sembrare un 7-footer, uno alto più di 7 piedi).

Non dimenticare 2Viveva nel sud della California, non aveva la televisione (erano troppo poveri per permettersela) ma tutti i giorni comperava il L.A. Times per leggere le cronache della squadra di basket di UCLA, di cui era grande tifoso.

“Era un surfer, un ribelle, un giovane brillante pronto a porsi ed a porre domande. Coach Wooden e Bill Walton discussero e litigarono su tutto.”
Quando si fece arrestare manifestando contro la guerra in Vietnam, Wooden gli fece notare che, anche se aveva ragione, il suo modo di protestare era sbagliato. Scrivi piuttosto una lettera, gli suggerì. Lui “la notte stessa scrisse al presidente Nixon mettendo in luce i suoi crimini contro l’umanità, chiedendo l’immediata fine delle ostilità e le sue dimissioni.”

Con Walton la squadra di coach Wooden fece due consecutive stagioni perfette, 30 vinte e zero (!) perse.
Poco dopo il suo, di passaggio con i pro, anche John Wooden si ritirò a 65 anni e già ampiamente leggendario.

Kareem ha vinto di più, è giustamente tra i più grandi di sempre, ma anche di Bill Walton (in campo e fuori) si deve parlare.
Pur in una carriera piena di infortuni ha vinto il campionato due volte. La prima con Portland, in finale contro i Lakers, proprio duellando contro il suo predecessore nei Bruins (così sono soprannominati i cestisti di UCLA).
Quando, verso la fine della carriera, si sentì di nuovo fisicamente in grado di giocare ad alti livelli, si offrì a due squadre: appunto i Lakers, la squadra della sua area, e gli altri grandissimi, i Celtics di Boston. Solo loro lo vollero, e con loro vinse un altro anello e anche altri riconoscimenti individuali.
D’altronde lui, californiano anomalo, da sempre tifa per i verdi della costa est, e ha detto che continuerà a farlo anche ora che suo figlio Luke è diventato capo allenatore appunto dei Lakers.

E quella maglia dei Grateful Dead che indossa nella foto col suo vecchio coach è tutt’altro che casuale. Intanto, bisogna spiegare una cosa, perché i Dead, da noi ben poco conosciuti, in America hanno un seguito di culto, e i Deadhead, una vera e propria estesissima comunità, fanno parte della storia e del mito del gruppo tanto quanto il complesso vero e proprio.
Tra loro il più alto di tutti, Grateful Red, sì proprio Bill Walton.
Che era lì, alla fine degli anni Settanta, sotto le piramidi di Giza, quando il complesso più hippie di sempre, con al seguito la carovana dei fan hippie, suonò i concerti più hippie di sempre.
Che ha regalato al batterista Mickey Hart la maglia dei Cetics che indossa nel video di Touch of Grey.
Che era tra il pubblico ogni sera, nella scorsa estate, quando i Dead dopo 50 anni hanno detto addio.

Non poteva certo mancare, lui che dal 2001 è nella “hall of fame” dei Grateful Dead, unico cestista a essere onorato lì oltre che in quella del basket professionistico, in quella dell’Oregon e ovviamente in quella di UCLA, con Lew Alcindor e con il loro coach John Wooden.

Che né uno né l’altro hanno dimenticato, di sicuro.