Il grande buio [Il Superstite 247]

Arona Danilo nuovadi Danilo Arona

 

Forse non ce ne stiamo accorgendo, forse non vogliamo vedere. Volgiamo orecchie, occhi e mente altrove. Balliamo sul mondo alla Ligabue immersi in Capodanni fuori tempo e in serate alcoliche mai veramente allegre, però il mondo come l’abbiamo conosciuto sta cambiando. Non so se in meglio o in peggio perché il parametro di riferimento è davvero difficile da individuare. Ma sono certo che non si tornerà indietro.

Tanta atarassia cerebrale, a braccetto con l’espansione globale della Tanatosfera, tanta indifferenza inoculata spesso e in modo sconcertante da un’ignoranza esibita a bandiera, la resa di fronte alle aggressive e nuove tecnologie da cui siamo dominati al punto da chiedersi se Skynet non sia uno schizzo di verità saltato fuori dalla cornice schermica: tutto questo dovrebbe porre domande le cui possibili risposte fanno tremare i polsi. Invece il luogo mentale collettivo ha alzato una impossibile barriera difensiva, con ancora qualche frammento di Mediterraneo all’interno non trasformato in putrescente sepolcro, nel quale ci vediamo quotidianamente gestire la nostra vita fatti di stacchi – lavoro, colazione, casa, caffè, cinemino e cenetta, naturalmente per chi ancora se li può permettere -, come se tutto quel che accade “al di là del muro” avvenisse su un altro pianeta.

Una signora che non conosco, una cliente del mio esercizio, ormai statisticamenteHappe anziana come lo può essere il sottoscritto, pochi giorni fa di puntimbianco, mentre attendeva il resto, sbotta più o meno così: «Assurdo, tutti questi morti ci riguardano ma ormai non mi fanno più alcun effetto. Perché?». Poi ha preso il resto e se ne è uscita, forse timorosa di essere scambiata per matta.
Matta proprio no. Ogni tanto la coscienza – meglio dire la consapevolezza – fa capolino e ti fa aprire la bocca in esibizioni spontanee di verità. Pochi secondi, poi si torna a essere normali, ovvero disconnessi.

Sono ben lontano dal rifilarvi un pistolotto moraleggiante. Chi mi conosce sa che non abita nelle mie corde l’ipocrisia della finta morale. Sto parlando – sto tentando in verità di parlare – di percezione alterata e di sensi della realtà finiti sotto le suole delle scarpe o sotto le gomme insanguinate di chi si uccide, e uccide, in macchina per interagire, o farsi possedere, da uno smartphone.

Come hanno segnalato i giornali nei giorni scorsi, nell’impennata del numero di incidenti stradali, risulta fatale l’uso dei cellulari. I rapporti della Polstrada non lasciano dubbi: la maggior causa di scollamento psicofisico dalla guida, dopo l’ubriachezza e pipponi di droga, è quello legato alla tecnologia, che distoglie l’attenzione dalla guida per fare contemporaneamente anche altro: messaggiare, scrivere e-mail e addirittura scattare selfie. Una ricerca dell’Istituto francese di statistica ha rilevato che la distrazione per l’uso del cellulare durante la guida determina una riduzione dal 30 al 50% delle informazioni percepite dal guidatore. Una via di mezzo tra i “cellulati” di King e The Walking Dead. E questo scollamento dal reale non è che la punta di quell’iceberg cui si accennava all’inizio, quello che alla maggior parte della gente che conosco ha tolto la contezza del reale.

Non intendo tirarmela da guru profetico (categoria che peraltro non amo) però ogni tanto mi capita di stupirmi nel profondo di fronte a certe cose mie scritte in tempi non sospetti. In uno dei racconti lunghi, tra i prediletti dall’autore, che risale al 1999, La stanza dei vetri rotti pubblicato nell’antologia Jubilaeum, Edizioni PuntoZero, che presagiva la fine dell’Occidente a opera di una coalizione jihadista battezzata Culto di Iside (puramente casuale che oggi il nostro incubo mediatico preferito oggi si chiami Isis…) per mezzo di una specie di complotto planetario esoterico volto ad azzerare le menti. Così alla fine sentenziava uno dei due protagonisti:
«Te lo stai chiedendo, amico, come sarà l’Apocalisse? Come ce l’hanno sempre descritta, non credo proprio. Voci dal cielo, grandi tuoni, tempeste di fuoco, la Bestia che esce dal mare. No, amico, tutte balle, come tu e io ben lo sappiamo, buone per le prediche domenicali e per quei lugubri invasati che ogni tanto appaiono in televisione, facendosi chiamare “esorcisti” e “demonologi”.

L’Apocalisse che io sto percependo è quella di cui tu hai offerto nell’articolo che mi hai cordialmente spedito un breve stralcio: lo spegnimento, graduale ma costante, della coscienza, degli occhi e del cervello del nostro pianeta. Del sangue, la sua energia vitale, non dobbiamo più preoccuparci. Ormai il corpo della Terra ne è quasi del tutto privo. Sì, questa sarà, è, l’Apocalisse. Anch’io, in questo preciso momento, avverto che la consapevolezza interiore mi sta abbandonando. Sì, amico, ormai è arrivata. Pestilenze e malattie, l’ambiguità e il caos. E a Roma una festa planetaria che da tutto ciò trae nutrimento e linfa vitale, perché su che cosa trionferebbe il cosiddetto Bene se non esistesse – loro pensano da qualche parte, nel Cosmo – il cosiddetto Male?»

Già, missione compiuta. E per puro caso, ancora, a Roma sta iniziando un nuovo Giubileo…