Basta coi sondaggi politici ‘farlocchi’, a cui in realtà ormai (i sondaggisti lo scrivono nelle notarelle in fondo, con un corpo leggibile solo ai raggi x) quasi tutti si rifiutano di rispondere, e che hanno la sola utilità di provare a pre-condizionare l’elettorato.
Il 31 maggio circa 17 milioni di italiani saranno chiamati alle urne, per eleggere i governatori e i consigli di ben 7 regioni (Veneto, Liguria, Toscana, Marche, Umbria, Campania e Puglia) e di 1.066 comuni, di cui 515 appartenenti a regioni ordinarie e 551 a regioni a statuto speciale.
Per noi, in provincia, si tratterà di un test tutto sommato marginale: si voterà solo a Valenza (dove in tanti parlano di esito già scontato: vedremo), e in alcuni piccoli centri del territorio. Ma la valenza nazionale di questo passaggio elettorale è indubbio. Non dimentichiamo che l’attuale premier, Matteo Renzi, è alla guida del Paese per una scelta di Palazzo (secondo alcuni anche discutibile, ma tant’è) e senza essere passato dalle urne, a cui il centro sinistra si presentò con l’opzione Bersani. Poco più di due anni fa, e sembrano venti. Quindi, dalla sera del 31 maggio, Renzi dovrà smetterla di fare riferimento al famoso 41% di consenso raccolto dal centro sinistra alle Europee dell’anno scorso, e tutti quanti ragioneremo su un nuovo scenario.
Ma quale? In primo luogo verificheremo quanti italiani ci credono ancora: una percentuale di elettori al di sotto del 60%, per intenderci, sancirebbe che siamo davvero entrati (definitivamente?) nell’era della sfiducia di massa nella democrazia rappresentativa, con il paradosso conseguente, però: che continuerebbero ad essere gli eletti di una politica delegittimata, nei prossimi anni cruciali, a dover ridisegnare in maniera anche drastica il nostro sistema di diritti civili e sociali. E non parliamo di diatribe sulla legge elettorale, ma del futuro (più che mai in discussione oggi) di pensioni, sanità, scuola, welfare, diritti del lavoro.
Pragmatici come sempre, però, i nostri politici esprimeranno preoccupazione e costernazione per l’eventuale astensione di massa dal voto giusto la sera di domenica 31 maggio, per poi tornare dalla mattina successiva a fare ‘base 100’ coi votanti effettivi, e ad attribuirsi a livello mediatico un consenso artificiale.
Può il Pd puntare a fine maggio sul ‘filotto’, ossia portarsi a casa 7 regioni su 7? Certamente il resto del caotico, sfilacciato, frantumato quadro politico del Paese sta facendo di tutto per dargli una mano.
Nel centro destra, in particolare, si assiste a ciò che del resto era inevitabile accadesse: quando tutto si basa, nel bene e nel male, sul carisma e sulle decisioni di un uomo solo, che tende a circordarsi solo di mezze figure e yes man, la successione passa attraverso un periodo (quanto lungo è tutto da capire) di caos e di tutti contro tutti, con tendenza al grottesco. Nel mio giro di conoscenti l’attesa per la nascita di ‘Forza Silvio’, con tanto di battutina inevitabile “ah, io stavolta lo voto” sta diventando la cartina di tornasole del senso del ridicolo che ormai emana la politica: un teatrino di avanspettacolo da prendere in giro, e a cui dedicare appunto al più una risata. Che poi magari ci seppellirà, ma tant’è.
In questo quadro, anche l’indignazione popolare ‘catalizzata’ oggi da 5 Stelle e Lega Nord (che complessivamente sembrano raccogliere il consenso di un elettore su tre, tra quelli ancora intenzionati a votare) non pare avere la forza propulsiva del passato, e insomma ad un governo Grillo o Salvini ci credono in pochi, forse neanche loro.
E intanto, alle regionali, il Carroccio accetta in Liguria di sostenere il candidato di Forza Italia (l’imbarazzante Toti), e di riconsegnare de facto la regione al Pd, pur di contare sull’appoggio di Forza Italia in Veneto, a sostegno di Zaia contro Tosi.
Insomma, se le regionali finiranno con un tennistico (e realistico) 6 a 1 prepariamoci, da qui al 2018, a subire un Renzi ancora più baldanzoso, protagonista di una lunga stagione di riforme ‘thatcheriane’, che certamente cambieranno volto a questo paese. Auguri.