«Essi [gli uomini] cercano sempre d’evadere/ dal buio esterno e interiore/ sognando sistemi talmente perfetti che più nessuno avrebbe bisogno d’essere buono»
(T. S. Eliot, Cori da “La Rocca”)
Ho due amici, qui ad Alessandria, che hanno un figlio adottato e una bimba in affido. Da casa loro, spaziosa ma certamente non enorme, è passata tantissima gente. Bambini, ragazzi, adulti, tutte persone con un punto in comune: un bisogno. Chi di una casa, chi di un pasto, chi di un lavoro; o chi, semplicemente, di un po’ di affetto.
I miei due amici, alle soglie dei cinquanta anni di età, non hanno mai detto no a nessuno. Una volta un ragazzo che ospitavano ha rubato i soldi che tenevano in casa ed è tornato al suo Paese. Dopo qualche tempo li ha chiamati al telefono, e piangendo ha raccontato che quei soldi gli servivano per la sua famiglia, a casa sua (lontano dall’Italia). Lo hanno perdonato.
Altro esempio. Da qualche tempo ospitano un ragazzo “diversamente italiano” che sta cercando di studiare per conseguire la maturità. A casa sua, del ragazzo, c’erano per così dire troppe distrazioni.
Sinceramente li considero due eccentrici, nel senso che per fare ed essere come loro bisogna essere realmente “fuori centro”, almeno rispetto all’idea di casa e di famiglia che chiunque tra noi ha. Non sono soli, e forse questo è uno dei motivi per cui resistono di fronte alle difficoltà, alla fatica e alle incomprensioni. Hanno molti amici, in tutta Italia, che sono e fanno come loro. Si chiamano “Famiglie per l’accoglienza“.
Ieri, andando a votare, ho pensato che l’unica cosa che mi sentirei di chiedere ai politici, prima ancora di non rubare, è questa: non soffocate queste famiglie (e quelli come loro), e se potete provate a dare una mano. Senza questi “eccentrici”, togliamo al mondo la speranza e lo consegniamo all’utopia di quegli uomini che sognano, per dirla alla Thomas Stearns Eliot (nella foto), «sistemi talmente perfetti che più nessuno avrebbe bisogno d’essere buono». Un’utopia, appunto.