“Mi scusi per il disguido: di solito lavoro in azienda tutto il week end senza sosta, proprio per ritagliarmi durante la settimana lo spazio necessario per gli altri impegni. Ma se un vitellino sta male non può aspettare, e diventa la priorità assoluta!”. Gian Piero Ameglio (a sinistra nella foto) ha un sorriso aperto, e la stretta di mano vigorosa dell’uomo dei campi (“in senso letterale”): il disguido a cui fa riferimento è un banale ritardo per l’intervista, poi realizzata comunque in giornata, e giustamente dopo aver risolto l’emergenza del vitellino in questione: perché il presidente provinciale della Confederazione Italiana Agricoltori di Alessandria è un imprenditore agricolo ‘a tutto tondo’, e la sua azienda di famiglia ad Altavilla Monferrato (frazione Franchini) è un fiore all’occhiello della zootecnia alessandrina, specializzata nella produzione di carne bovina di razza piemontese, e anche emblema (con il suo punto vendita a Frassinello Monferrato, e la fattoria didattica in via di allestimento) di quella ‘filiera corta’ su cui sempre più l’agricoltura di casa nostra ha deciso di puntare, per percorrere nuove strade di ‘valorizzazione’ dei propri prodotti.
Con Ameglio, che è alla guida della Cia provinciale da qualche mese, proviamo ad esplorare alcuni di questi percorsi, riprendendo peraltro alcune delle riflessioni già affrontate nelle scorse settimane con il direttore dell’organizzazione agricola, Carlo Ricagni (a destra nella foto di apertura).
Con l’obiettivo di capire se davvero il comparto agricolo sta ‘riprendendo quota’, e in che misura può rappresentare uno dei ‘volani’ attorno a cui costruire il futuro della nostra economia territoriale.
Presidente Ameglio, il prezzo dei cereali è in aumento, e l’agricoltura sembra vivere, rispetto ad altri comparti economici in forte affanno, una fase di rilancio. Sono segnali concreti? Lei è ottimista?
(sorride, ndr) Noi agricoltori siamo sempre ottimisti, e abituati a tenere duro di fronte a qualsiasi avversità. Però la crisi di questi anni si è sentita e si sente anche a casa nostra, mi creda. Certo, in maniera meno drammatica che altrove. E poi c’è il fatto che nel nostro settore siamo abituati a ragionare in prospettiva, facendo investimenti di medio periodo. Che siano vigneti, o cereali, o allevamento bestiame, l’agricoltore è abituato prima a seminare, poi a coltivare, alla fine a raccogliere, se tutto va bene. Ma l’anno, o anno, dopo.
Siete certamente un comparto più stabile, rispetto ad altri, anche in termini imprenditoriali. Le aziende agricole passano raramente di mano, e questo qualcosa significa….
Vuol dire che certamente c’è un valore economico, d’impresa, che tende a passare di generazione in generazione. E anche che c’è una dimensione affettiva, un legame con la terra che ti viene trasmesso in famiglia. I dati segnalano però anche una progressiva diminuzione del numero delle aziende agricole in provincia, e una crescita dimensionale: come è logico che sia, le piccole proprietà via via spariscono, e vengono accorpate: perché senza un’economia di scala è impossibile reggere, sul piano economico. Oggi la media delle aziende agricole in provincia è di 15,5 ettari di terreno: ma sono ancora dimensioni inadeguate, credo che la concentrazione continuerà.
Poi c’è il fenomeno dell’abbandono di intere porzioni di territorio, in collina e in montagna: con le conseguenze idrogeologiche che sappiamo…
E’ un fenomeno che ho studiato con attenzione: la nostra provincia è di circa 3.600 chilometri quadrati, ossia 360 mila ettari. Di questi, quarant’anni fa ne venivano lavorati circa 220 mila. Oggi siamo a 190 mila. Il che significa che parte del territorio è stato abbandonato, evidentemente perché non sufficientemente redditizio. Ma questo significa, appunto, andare incontro a conseguenze idrogeologico pesanti. Per questo una pianificazione e un sistema di aiuti ed incentivi, non solo regionali o nazionali, ma comunitari, è assolutamente indispensabile: o si riconosce agli agricoltori che operano in certe aree una funzione sociale, e quindi si sostiene una politica di integrazione al reddito (ma anche a livello infrastrutturale: in molte parti della nostra provincia non arriva neanche Internet: con tutto quel che oggi significa), oppure non ci si lamenti se le persone alzano bandiera bianca, e abbandonano il territorio a se stesso.
Agricoltura è termine generico, in realtà. Quali sono oggi le coltivazioni su cui si punta di più in provincia? Siamo ancora uno dei granai d’Italia?
Sì, lo siamo, ma solo limitatamente al grano tenero, in cui ci contendiamo la leadership produttiva con la provincia di Bologna. Ma ci sono alcune province del sud che, in termini di grano duro, hanno produzioni molto più vaste. Poi naturalmente c’è il vino: quello enologico è un comparto estremamente variegato: c’è chi produce e vende uva, rifornendo o le cantine sociali, o singole grandi aziende. E c’è chi punta sulla filiera completa, e su produzioni di qualità, da vendere esclusivamente in bottiglia, e in buona parte all’estero. Con tutte le problematiche inerenti la commercializzazione, il marchio, le regole internazionali. E poi c’è chi produce invece ortaggi, pomodori, patate, frutta, barbabietole: insomma, il mondo agricolo ha davvero tante problematiche tra loro diverse: e il compito delle associazioni di categoria è proprio quello di rappresentare e assistere tutti, offrendo un supporto adeguato, e un punto di riferimento costante.
Parliamo di zootecnia presidente Ameglio: qualcosa in più di una nicchia, per la nostra economia locale….
Assolutamente sì: una tradizione importante, in Piemonte come nella nostra provincia. Ma, anche qui, bisogna segmentare per capire il fenomeno: c’è chi alleva i bovini da carne (e la razza piemontese, con i suoi 360 mila capi l’anno, fa la parte del leone rispetto ad altri marchi anche blasonati, come la chianina, che ha una produzione assai limitata), c’è chi alleva la frisona per produrre latte, e poi ci sono gli ingrassatori, che importano i capi perlopiù dalla Francia, ma anche da Belgio e Polonia. Ma, soprattutto, va considerato che oltre il 50% della carne consumata in Italia la importiamo, e che la stessa pregiata razza piemontese in realtà soddisfa soltanto il 3,5% del fabbisogno nazionale. Ma naturalmente, parlando di zootecnia, dobbiamo considerare anche gli allevamenti di suini, gli ovi-caprini, e così via fino all’apicultura. Un universo variegato, in cui molti hanno compreso ormai che è importante puntare sulla specificità del proprio prodotto, sulla qualità estrema.
Per l’agricoltura alessandrina Expo 2015 dedicato al tema del cibo è un’opportunità importante?
Non voglio dire che non lo sia, a patto che si riesca ad intercettare, in maniera organizzata e con un’offerta strutturata sul territorio la moltitudine di visitatori in arrivo a Milano da ogni parte del mondo. Ma colgo anche un altro aspetto significativo, per il nostro settore: è la prima volta che una kermesse del genere viene dedicata al tema del ‘nutrire il pianeta’, in tutte le sue declinazioni, e quindi delle materie prime del loro utilizzo presente, e soprattutto futuro. Questo significa riconoscere la centralità assoluta dell’agricoltura nell’economia mondiale, e non è davvero poco.
Quindi, Presidente, lei ad un giovane o ad una giovane consiglierebbe di investire professionalmente in agricoltura?
Dipende sempre da attitudini, capacità e voglia di impegnarsi davvero. Le faccio il mio caso personale: ho una figlia d1 21 anni, che da un paio di mesi è in Australia per perfezionare la lingua, ma soprattutto per una prima esperienza di vita e lavoro. Se, quando tornerà, mi dicesse: “voglio lavorare in azienda”, ne sarei lieto. Al contempo però le direi: “come ho fatto io rispetto ai tempi di mio padre, devi essere in grado di ‘ripensare’ la terra, l’agricoltura e le attività economiche ad essa collegate, in rapporto ai tuoi tempi”. Ossia nessuno può pensare di entrare oggi, a vent’anni, in agricoltura, e lavorare come si faceva trenta o vent’anni fa, o anche di ripetere il modello di oggi per i prossimi trenta o quarant’anni: nel nostro settore, come e più che in altri, la capacità di innovazione è sempre più necessaria, e determinante.
Ettore Grassano