“Nella vita ho sempre cercato di dedicarmi a ciò che mi appassionava, e continuo a farlo: non che l’aspetto economico, e quindi il profitto non sia importante. Ma se fai quel che ti piace, arrivano anche i risultati, come conseguenza naturale”. E che Paolo Bianchi (imprenditore agricolo, ma anche fondatore della Tomato Farm di Pozzolo Formigaro, e consulente aziendale nel settore agroalimentare) ci creda a questa impostazione, professionale e personale, lo capisci dalla passione e competenza con cui ti racconta la sua esperienza, a partire da quella (“che svolgo talvolta anche gratuitamente, per il piacere di scoprire Paesi e contesti del tutto diversi dal nostro”) di consulente per aziende, italiane ma soprattutto estere, che decidono di implementare attività e stabilimenti nel settore agroalimentare: “ho lavorato in Tunisia, Marocco, Ucraina, Polonia. E sto dando una mano ad un imprenditore italiano che ha deciso di investire in Mali”. Insomma, una visione del comparto agricolo davvero a 360 gradi, con una fortissima attenzione all’innovazione, di prodotto e di metodologie.
Dottor Bianchi, partiamo dalla Tomato Farm, naturalmente. Citata anche di recente da Carlo Ricagni, direttore della Cia provinciale, come esempio di azienda all’avanguardia nella filiera agroalimentare di casa nostra….
Forse è utile una premessa allora: l’Italia è uno dei grandi produttori mondiali di pomodori: siamo al secondo posto, con circa 55 milioni di quintali. Prima di noi c’è solo la California, con 110 milioni di quintali, e al terzo posto la Cina, con 48-50 milioni. Con la differenza che la California ha un grande mercato interno, e comunque esporta nelle Americhe. Noi italiani abbiamo sempre esportato in tutto il mondo. La nostra area di maggior produzione è quella nelle province di Parma e Piacenza, ma intorno al 1998, con un amico, ho ritenuto che ci fossero, in provincia di Alessandria, enormi spazi di crescita per questa coltivazione: abbiamo convinto, e coinvolto, almeno 15 aziende agricole di peso, e abbiamo portato sul nostro territorio qualcosa come 600-700 ettari coltivati per produrre pomodori da industria.
Presupposto essenziale perché si potesse far decollare anche un’azienda di trasformazione del prodotto….
Esattamente. La Tomato Farm di Pozzolo, di cui sono stato fondatore e per diversi anni socio di maggioranza, è stata una bella scommessa, direi vinta. Nel senso che siamo partiti nel 2006 con una lavorazione da 170 mila quintali di pomodoro, che sono diventati 960 mila quintali nel 2009. Abbiamo avuto anche riconoscimenti ufficiali, come l’azienda piemontese a più elevato tasso di crescita in quel triennio. Con un fatturato passato da 1 milione e 700 mila euro a circa 15 milioni di fatturato. Oggi l’azienda è controllata a maggioranza dalla famiglia Gavio, e ottimamente guidata dall’amministratore delegato Bruna Saviotti. Ma io conservo una quota di minoranza, e continuo ad avere un ruolo come consulente, anche se sono coinvolto appunto in diversi altri progetti imprenditoriali.
La Tomato Farm ricopre un’area di 50 mila metri quadri, di cui 5 mila coperti: quante persone ci lavorano?
Circa 70-80 persone nei mesi di produzione, ossia da fine luglio ai primi di ottobre. E una decina a tempo pieno, ossia tutto l’anno. Il personale stagionale viene selezionato, e anche formato, da un’agenzia interinale specializzata, ed è in parte italiano (direi anche in misura crescente, negli ultimi anni) e in parte straniero. E poi, in termini occupazionali, non trascuriamo l’indotto: ci sono circa 80 aziende fornitrici, che consentono di produrre 10 mila tonnellate di polpa a cubetti, e 12 mila tonnellate tra passata e concentrato. E poi c’è l’attività di trasporto, per consegnare i prodotti ai clienti (che sono grandi marchi italiani come Barilla e Saclà, ma anche internazionali: la Tomato Farm fa semilavorati, non la confezione finale da supermercato insomma): e parliamo di una movimentazione da circa 4 mila Tir all’anno.
Poi c’è la Giorgetta, l’azienda agricola di famiglia, sempre a Pozzolo….(è qui che si svolge la chiacchierata, in un accogliente sala a fianco dell’agriturismo, ndr)
Certo, qui io ci sono nato, e la Giorgetta rimane il baricentro. In realtà mio papà, Bartolomeo Bianchi (che fu in passato presidente provinciale e regionale di Confagricoltura, con importanti incarichi anche a Roma) è ancora attivissimo, e si deve a lui la scelta, molto innovativa, di puntare, oltre che sulla produzione di foraggio per il nostro bestiame, anche sulla produzione di biogas: oggi abbiamo due impianti, da 1 megawatt l’uno. Ma naturalmente la vocazione agricola rimane forte: abbiamo complessivamente circa 350 ettari coltivati: anni fa 70-80 ettari erano a pomodoro, oggi invece ci concentriamo sul foraggio, e su quanto serve ad alimentare gli animali delle nostre stalle. E abbiamo uno spaccio carni aperto dal venerdì alla domenica, e un agriturismo in cui, sempre nei fine settimana, si possono degustare i nostri prodotti. Una filiera completa insomma, e soprattutto autentica.
Come nasce, invece, la sua vocazione di consulente internazionale?
Per passione, e per passaparola. Ho girato mezzo mondo, e per quanto possibile continuo a farlo: anche perché in questo modo si scopre cosa fanno gli altri, e quali sono le potenzialità del comparto agricolo, anche in termini di sperimentazione e ricerca. Penso al panìco americano, che è il foraggio americano più antico e famoso: quello di Balla coi lupi per intenderci, con il quale si alimentavano i bisonti. Che erano ammassi di carne genuina e naturale, senza bisogno di mangimi di alcun tipo. Ebbene, alla Giorgetta quest’anno ne abbiamo seminato due ettari, e così ha fatto anche qualche altra azienda agricola di amici, in giro per la provincia. E’ una sperimentazione, condotta in collaborazione con l’Università di Piacenza: abbiamo importato il seme direttamente dalla North Carolina, per capire quali sono le potenzialità di questo prodotto, ricco di zuccheri e proteine, e quindi capire quale potrebbe essere la sua diffusione a casa nostra.
Girando il mondo, quale Paese l’ha più colpita?
Probabilmente l’Africa, che ha potenzialità enormi sul fronte agricolo. Penso alla Tunisia, dove non piove mai, ma che nel sottosuolo è ricchissima di acqua: e lì la coltivazione del pomodoro sta crescendo moltissimo. Ma cito anche il Mali: lì di recente ho aiutato un imprenditore di Bordighera ad aprire uno stabilimento che produce succo di mango, e concentrato di pomodoro. Per ora per il mercato locale, ma con ambizioni di crescita. E si tratta dello stesso imprenditore che qualche anno fa pareva dovesse investire a Tortona, e poi ci ha ripensato. Il che è paradigmatico: gli imprenditori italiani che ancora hanno voglia di fare, spesso preferiscono insediarsi in paesi stranieri.
Da addetto ai lavori e sinceramente: l’agricoltura alessandrina come la valuta? Ha ancora potenzialità di crescita?
Secondo me enormi. C’è una costante evoluzione, verso una sempre maggior qualità. Penso ai nostri vini, ma anche a certe zone fertilissime, dove puoi piantare tutto: l’area di Sale-Castelnuovo Scrivia ad esempio, o quella di Castellazzo Bormida. Ma anche alle nostre valli: la Val Curone, per fare un esempio, ha potenzialità sia agricole (patate, fragole, ciliege, ma anche tartufi bianchi e neri, assai più profumati di quelli albesi) che turistiche enormi. Rimane certamente una certa ritrosìa a fare sistema. Ma soprattutto ci sono le enormi difficoltà burocratiche, e il fatto che oggi un imprenditore percepisce sia lo Stato che il sistema bancario come soggetti ostili: e chiaramente, se questo è il contesto, atti di eroismo non se ne possono chiedere a nessuno.
Ettore Grassano