Nel luglio 2013 moriva un amico, lo scrittore Valter Binaghi, autore di splendidi romanzi e artista a tutto tondo, cantante e chitarrista di pregio. Non ho mai avuto occasione di dedicargli doverose righe di ricordo, ma sono pure uomo che più invecchia sempre più detesta la retorica dei “coccodrilli”.
Ripropongo allora alcune riflessioni, pubblicate all’indomani dell’uscita di quello che giudico un capolavoro tout court e nel quale Valter mi omaggiava di una citazione di cui andò sempre fiero. Titolo del libro uscito nel 2007, I tre giorni all’inferno di Enrico Bonetti cronista padano, edito da Sironi.
Con l’amico Binaghi condivido aspirazioni a scendere alle massime profondità dell’Abisso, amore per il rock e persino qualche acciacco, e il suo libro è la più viscerale calata nel ventre molle, liquamoso, della merda maligna, il terrorismo della mente prima che della carne, sta intossicando psiche e anima del pianeta grosso modo da quando siamo transitati nel cosiddetto Millennio. Il libro non ve lo racconto, perché sarebbe un sacrilegio, e vi dico solo che c’è Satana (quasi in persona) che si balocca fra crimini rituali di provincia, orrori cosmici per nulla metafisici, esorcismi e antagonismo metallaro, personaggi criminali tanto grotteschi quanti veri e un giornalista di provincia, appunto il Bonetti.
Binaghi, con la sua Healer’s Blues Band (blues sanguigno, da delta del Tanaro…), è sceso a sua volta negli inferi di Alessandria per portarvi il suo spettacolo Discesa agli inferi di cronista padano, che al romanzo in questione è ispirato quasi come uno spin-off (ma saggiamente lo riproduce solo in parte). E al riguardo qualcosa in più riesco a snocciolare. La “discesa”, quella rappresentata sul palco, consiste nella lettura drammatizzata a due voci di alcune pagine tratte dal romanzo, “montate” però in modo diverso, alternate all’esecuzione di brani musicali molto noir (Chris Rea, Nick Cave, Bob Dylan, Tom Waits, Rolling Stones e altri ancora) che “staccano” e al contempo fungono da soundtrack. Le due voci in “contrappunto” sono quella di Binaghi e del “diabolico” Davide Scheriani. E il Bonetti che si concretizza in palcoscenico, quasi un “fantasma alla De Palma”, è un cronista di nera, malinconicamente innamorato di Ljanka, una prostituta slava che lui progetta di strappare al racket.
Alcuni misteriosi omicidi, tra cui quello particolarmente orrendo di una donna gravida cui è stato strappato il feto, mettono il Bonetti sulla pista di un gruppo di giovinastri, satanisti da Bar Sport come quelli resi celebri dai processi alle cosiddette “Bestie di Satana”.
A questo punto emerge dalla penombra scenica uno dei protagonisti della vicenda: il prorompente frate Remigio da Mortara, esorcista in Rete ed eterodosso indagatore di crimini rituali. Grazie a lui il Bonetti scopre che i satanisti hard rock sono solo lo scenario più folkloristico, semplice manovalanza dietro cui si cela una vasta organizzazione criminale. Pian piano il paesaggio provinciale delle prime pagine lascia spazio a una mappa internazionale dell’orrore che comprende traffico d’organi e cliniche compiacenti, e un mercato di vite umane destinate al ruolo di cavie in laboratori coperti da segreto militare.
Dopo l’11 settembre la paura è il vero business del terzo millennio; in nome di essa la ricerca di armi biologiche si è fatta indefessa quanto clandestina, e lo scontro di civiltà che il neo-imperialismo reclama a gran voce potrebbe richiedere sacrifici umani. In mezzo a tutto questo il Bonetti riesce nell’impresa di strappare al racket dell’immondo Zoltab la sua Ljanka e giunge a rivestire un ruolo decisivo nelle indagini, durante le quali s’imbatte in personaggi commoventi e surreali come Alvaro, che allestisce spettacoli coi suoi cani ammaestrati nelle piazze di paese, o come Papa Lumumba e Mama Rose, due profughi di colore dal diluvio di New Orleans, che con un rito sciamanico rendono possibile al cronista una discesa agli Inferi del proprio inconscio, per recuperare un ricordo perduto ed essenziale alla ricerca. E lo scontro finale è sul serio un colpo di scena – tanto sul palco che nel libro – di quelli autentici che ti arrivano diritti nelle viscere, lasciandoti senza fiato. Le due discese nel Mondo di Sotto, nella loro reciproca congruità, assumono i caratteri di un romanzo di idee: scontro tra l’anima cristiana, decisa a preservare la sacralità della vita, e la ragione luciferina, ovvero l’agire tecnico che trasforma il pensiero in informazione e l’essere in merce.
Tutto questo avviene nell’impotenza della politica (c’è un capitolo interamente dedicato a una manifestazione anti TAV, ma anche una chat in cui si scopre come e per chi vota Berlusca), l’inattualità della scuola e la complice futilità di certa cultura, mentre le masse sono sempre più irretite da una rappresentazione spettacolare della vita, ormai identica alla vita stessa: mentre frate Remigio è convinto che i demoni si siano impadroniti del mundus imaginalis attraverso i media, e che la percezione attuale del mondo sia una sorta di allucinazione condivisa, e l’autore paga i suoi debiti alla sociologia oltre che alla teologia, citando tra i crediti autori come Marshall McLuhan, Ivan Illich, Christopher Lasch e Renè Girard, e tra le citazioni letterarie persino il nostro Palo Mayombe, in buona compagnia di vari “rabdomanti del Male” quali Avoledo, Bernardi, Genna, Formenti.