La Cosa di Matthijs van Heijningen Jr è un film del 2011, prodotto dalla Morgan Creek e prequel discreto dell’immortale, omonimo, film di John Carpenter di 31 anni fa. Nella scena iniziale tre norvegesi, a bordo di un gatto delle nevi, stanno compiendo un’esplorazione alla ricerca di un misterioso segnale radio sui ghiacci dell’Antartide e per ammazzare il tempo uno dei tre racconta agli altri la seguente barzelletta:
«Un uomo e una donna fanno l’amore e il figlioletto li sorprende. Il bambino è sconvolto ed esce dalla stanza piangendo, La madre dice: Santo cielo, cosa facciamo? Il padre risponde: Ci penso io. Esce dalla stanza, va in quella del figlio, e vede il piccolo Swen sopra la nonna mentre si dà da fare. Su e giù, su e giù. Il bambino si volta e dice al padre: Brutto quando si tratta di tua madre, vero?»
Grasse risate generali per una tipica scena in levare che prelude a qualcosa di brutto perché i tre, da lì a poco, incontrano la Cosa e spariscono nel nulla dei ghiacci eterni.
Non fa neppure tanto ridere, la barzelletta. E allora perché ve la racconto? Procediamo.
Hunger è il film di esordio del 2008 firmato dall’acclamato regista Steve Mc Queen imperniato su Bobby Sands e il trattamento riservato agli attivisti dell’IRA nel carcere di Long Kesh dell’Irlanda del Nord. A cinque minuti dell’inizio la camera indugia su un gruppo di secondini intenti a bersi un caffè in un sala ritrovo. Uno di loro sta dicendo: «Dopo un’ora si sente un grido in camera della nonna. Così il papà sale su in camera del figlio, apre la porta e vede il bambino che si sta ripassando la vecchia. Quello si gira e dice: Visto sì? Non è divertente quando si tratta di tua madre.» Risate esagerate a crepapelle e poi il film prosegue nella descrizione degli orrori consumati nella prigione lugubremente passata alla storia come The Maze.
E’ un caso? E’ una citazione? Il cinema, prima che un’industria o un locale di proiezione, è uno spazio della mente dove le suggestioni si depositano lungo un asse temporale che non sempre rispetta le coordinate della cronologia. Ma la curiosità nel caso in questione è forte: che ci azzecca la barzelletta di Hunger nell’incipit de La Cosa?
Temo di non poter fornire risposte. Ho invano scorso i credit dei due film onde trovare un elemento umano in comune (che so, un editor, uno di quelli che “aggiustano” i dialoghi o li aggiungono là dove servono), ma non l’ho trovato. Né credo serva andare alla caccia di comuni elementi antropologici tra Irlanda del nord e Norvegia, data la nulla entità dell’argomento e tenendo pure conto che il regista de La Cosa è olandese e l’autore del soggetto è americano. Peraltro forse questa faccenda incuriosisce solo me. Le sole note al riguardo del joke iniziale ne La Cosa le ho trovate scritte da Matteo Bittanti su Wired.Com e sono queste: “Un segnale perturbante ha luogo dopo i titoli di coda e assume la forma di una barzelletta oscena raccontata da uno dei norvegesi (…). L’analogia è chiara: nel buio della notte (la sala cinematografica) un ragazzino (La Cosa, 2011) si fotte la nonna (La Cosa, 1951) mente il padre assiste impotente alla scena (La Cosa, 1982).” Un’elucubrazione psicanalitica, tipica di una critica, cui spesso appartengo anch’io, che non si vergogna affatto di lanciarsi su qualche impervio sentiero freudiano.
Per dirla come va detta, con Bitanti il mistero s’infittisce. Perciò non sono in grado di aggiungere altro. Ma uno straccio di spiegazione potrebbe esistere. La barzelletta in Hunger, nel tempo del film, viene raccontata nei primi mesi del 1981 mentre ne La Cosa in un imprecisato mese del 1982. Insomma, potrebbe essere la barzelletta “regina” che circolava in quegli anni nel Nord Europa. Un frammento popolare e certo greve che, però nel suo sottotesto “edipico”, potrebbe alludere alla materia “mostruosa” dei due film, certo reciprocamente lontani anni luce, ma collegati in modo a dir poco curioso dal joke in questione e dal caos mutilante i corpi che invade la scena (in Hunger l’autodistruzione visivamente insopportabile di Sands e ne La Cosa le metamorfosi teratogenetiche indotte dall’alieno). Se così fosse, sarebbe geniale. Altrimenti, se così non è, perdonate il delirio del Superstite. Ma al cinema, come ricordano lo Shining di Kubrick e il bizzarro quanto affascinante documentario Room 237 di Rodney Ascher (che di Shining i misteri intende svelare), nulla avviene per caso.