Il Giorno della Memoria è stato quest’anno infangato da un fatto increscioso: l’invio di tre pacchi anonimi, contenenti ciascuno una testa mozzata di maiale, in tre luoghi della comunità ebraica romana e la comparsa sui muri di scritte razziste a cui purtroppo siamo abituati.
Molte parole sono state spese per condannare l’azione di offesa recata al popolo ebraico e chiunque abbia un briciolo di buon senso non può far altro che condannare il gesto ed esprimere solidarietà agli sfortunati destinatari. Tra tutti i comunicati ascoltati e letti, sono stata particolarmente colpita da quello del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano che, nel presiedere la cerimonia ufficiale dedicata al Giorno della Memoria svoltasi al Quirinale, ha detto: “Gli insulti e le minacce contro la sinagoga di Roma e altri luoghi della comunità ebraica sono una miserabile provocazione, un insulto assimilabile solo alla stessa ripugnante materia usata in quei pacchi”.
Sono rimasta turbata dall’uso di quella espressione, non perché me ne aspettassi un’altra, ma perché la trovo del tutto inopportuna per definire un animale. E’ chiaro che una testa mozzata non è un bello spettacolo, appartenga essa a un animale umano o a un animale non umano, ma io parto da un altro presupposto, del tutto ignorato dal Presidente. Quelle tre teste mozzate sono pezzi di corpi di esseri senzienti che, prima di vedersi decapitare, hanno sofferto un inferno, un “ripugnante” inferno. Quando ho sentito la notizia delle tre teste, ho pensato alla perversione razzista e specista di chi ha pensato e compiuto quel gesto efferato, al dolore spirituale degli Ebrei e ho pensato anche al dolore fisico dei maiali a cui nessun comunicato istituzionale ha fatto cenno. Bisogna essere antispecisti, animalisti, zoofili… per soffermarsi anche sul dolore di quei tre maiali?
Provare empatia per quel dolore per me è naturale ma capisco che non lo sia per tutti, e le istituzioni non danno l’esempio migliore, anzi, la massima carica dello Stato ha fatto l’esatto contrario. La scelta del maiale come animale destinato a offendere gli Ebrei non è stata certo un caso ma mi chiedo se al posto delle tre teste di maiale ci fossero state tre teste di cane, il miglior amico dell’uomo: forse si sarebbe alzata una voce più forte, proprio perché il cane suscita reazioni emotive più marcate. Ma un maiale non è diverso da un cane: la differenza è solo nello sguardo di chi lo osserva. Come gli animali “da affezione”, anche quelli “da affettare” meritano il nostro rispetto e, se sono fortunati, anche il nostro amore. Eppure in tutto il mondo è tollerato che milioni di animali siano trattati in una maniera in cui non tratteremmo mai i nostri cani o i nostri gatti. La scrofa è una madre amorevole e premurosa. In natura, prima di partorire, cerca foglie o rami per costruire un nido sicuro per i suoi piccoli e dopo averli partoriti, è molto attenta a non schiacciarli, ben consapevole della sua mole.
Purtroppo siamo noi umani che imprigioniamo le scrofe negli allevamenti intensivi, le facciamo vivere tra fango ed escrementi e soprattutto lontano dai loro piccoli. I maiali sono capaci di una vita di gruppo, comunicando tra loro tramite grugniti, proprio come fanno i cani, abbaiando e giocando. La vita negli allevamenti intensivi, tra dolore e frustrazione, priva questi animali di ogni emozione positiva. Nell’immaginario collettivo, i maiali sono dipinti come animali sporchi, ma in natura le cose non stanno così e quando si rotolano nel fango è per proteggersi dalle scottature del sole: ecco l’intelligenza che fa loro capire il beneficio dei fanghi, quelli che noi andiamo a fare alle terme. Noi umani distruggiamo la loro vita, costringendoli a vivere negli allevamenti in cui sono così stipati da diventare pericolosamente aggressivi: vengono castrati, viene loro tagliata la coda e vengono limati i loro denti perché la prima reazione che hanno in quell’inferno è di morsicarsi la coda vicendevolmente. Li trasformiamo in vere e proprie macchine per la produzione di cibo e non solo: “del maiale non si butta via niente”, dice orgogliosamente chi lo alleva.
Forse il Presidente della Repubblica non vede il maiale con i miei occhi e, ricordando certe vittime, si è scordato di altre che ai suoi occhi sono solo ripugnante materia.
E’ strano che il corpo di un animale morto, se è quello del nostro animale è un cadavere, se è quello di un animale ucciso e abbandonato a se stesso è una carcassa, se è quello di un animale in bella mostra in macelleria ecco che diventa una leccornia per il palato. Ciò che non cambia è che da vivo era un essere senziente e come tale meriterebbe un Giorno della Memoria in cui ricordare le atrocità e le torture a cui sono sottoposti gli esseri senzienti sfruttati, sperimentati, cacciati, pescati, allevati, indossati, macellati, mangiati, così che, da ripugnante materia, sono trasformati in profumato profitto.
Cordiali saluti.
Paola Re – Tortona (AL)