di Dario B. Caruso
La pausa estiva relativa alle attività didattiche avanza inesorabile e siamo già a metà luglio.
Parlo di attività didattiche poiché fervono altri impegni che hanno certamente ritmi blandi e diradati ma che sono funzionali all’avvio del prossimo anno scolastico.
I talk-show estivi hanno una missione: creare discussioni (accese possibilmente) trovando altri temi al fianco di pandemia e guerra. Allora si avvicendano (oltre agli ormai classici virologi e strateghi militari) esperti di ecologia, pulizia strade e spiaggie, scioglimento dei ghiacciai, siccità, traffico in autostrada, aumento dei prezzi, vacanze, auto ibride, monopattini e biciclette, disoccupazione, povertà e reddito di cittadinanza, analfabetismo funzionale, crisi del cinema e del teatro, Jovanotti, Ferragnez, regine d’Inghilterra, Grand Prix di formula uno, tennis, nuoto e pallanuoto e soprattutto tanto calcio.
Sempre, immancabilmente, come un finale preannunciato, come un passaggio telefonato, come il fa dopo il mi, come il tre dopo il due la conclusione è che “la colpa è della scuola”.
Sempre, su qualsiasi canale, dalla Rai a Mediaset passando per La7, tv2000 e minori, radio e TV, “la colpa è della scuola” anche a scuola chiusa.
Ed è vero che la scuola ha realmente tante responsabilità, alcune storiche altre contingenti al momento storico.
Però mettetevi nei panni di uno studente, otto, dieci, tredici, sedici anni, frequenta cinque ore di lezione nelle quali deve attenersi a regole del vivere insieme, comportamenti civili, rispetto delle cose e delle persone, assegnazione di compiti da riconsegnare secondo tempi dati. Poi va a casa e vive diciannove ore fuori dalla scuola.
Lascio tirare le conclusioni al lettore.
Mi si potrà obiettare che non sempre le scuole hanno strutture, dirigenti e insegnanti adeguati al proprio lavoro.
Vero.
Facciamo dunque il gioco delle percentuali e scopriremo una cosa sconcertante: che a non funzionare sono le famiglie.
In questo caso la colpa non è della scuola.
Ed è di difficile soluzione.