di Piero Archenti
Chi oggi si affaccia sulla piazza della Libertà potrebbe chiedersi com’era quella stessa piazza prima che Napoleone facesse abbattere l’antico Duomo (1) al fine di realizzare una piazza più adatta alle esercitazioni militari. Però esiste anche la versione, in verità alquanto inverosimile, ossia, che Napoleone, affascinato dalla contessa Ghilini, si lasciasse convincere ad abbattere il vecchio Duomo in quanto ostacolava la vista del Palazzo Ghilini retrostante.
Com’è, come non è, resta il fatto che nel 1803 Napoleone trasformò l’ampia area che ricavò dall’abbattimento dell’antico Duomo in una piazza d’Armi per le esercitazioni militari. L’antico Duomo infatti, occupava buona parte del sedime antistante il Palazzo Reale (così era denominato l’attuale Palazzo del Governo) consentendone la vista soltanto in modo parziale.
Purtroppo per gli alessandrini, Napoleone si sa che andava per le spicce, e in men che non si dica, dopo la vittoria dei francesi sugli austriaci, decise di abbattere l’antico Duomo per ampliare l’area da destinare alle esercitazioni militari. Erano tempi quelli di cui stiamo parlando, in cui l’ultima parola spettava al dominatore di turno e, purtroppo per gli alessandrini, il dominatore di turno dopo la battaglia di Marengo nel 1800, era per l’appunto Napoleone!
Napoleone diceva di amare Alessandria – si legge ne “La storia degli alessandrini” di Fausto Bima, Ugo Boccassi Editore – perché naturalmente gli ricordava la vittoria che gli aveva aperta la via al potere e all’impero e ne aveva fatto una delle trenta città privilegiate dell’impero oltre la sede del dipartimento e della prefettura di Marengo, ma in verità l’amava a modo suo, con un amore rozzo e frettoloso da sergente.
Vedeva nella città – prosegue Bima – soltanto una fortezza e quando nella fatidica data del 5 maggio del 1805, con Giuseppina, prima di andare a Monza a cinger la corona di ferro, tornò ad Alessandria per celebrare il quinto anniversario della battaglia con una grande manovra ed una fondazione simbolica della “ grande ville de Marengo”, in preda all’euforia, megalomane, disse che voleva fare “d’Alexandrie un fauborg de Marengo” (fare di Alessandria un sobborgo di Marengo).
In realtà – aggiunge Bima – tramite il generale del genio Chasseloup-Laubat, si limitò a rinforzare la cittadella che gli premeva molto, demolì nel 1803 il vecchio duomo e fu un vero stupido ed inutile delitto, per squadrare la piazza grande per meglio fare le parate, manomise il vecchio palazzo dei governatori eliminando i portici e rifacendogli la triste facciata che ancora oggi si vede e trasformò un bel numero di conventi e di chiese – prosegue Bima con enfasi – da cui come sempre erano tolte le campane, passati al demanio in seguito alla legislazione rivoluzionaria, in caserme, depositi e ospedali, contribuendo a dare ad Alessandria quel cupo carattere di fortezza che conserverà per tutto l’Ottocento e la sua opera sarà intensificata e potenziata dai Savoia, ed infine allargò la cinta delle mura della città che venivano ad estendersi sul tracciato degli attuali viali di circonvallazione.
Per fortuna (o per disgrazia) degli alessandrini le cose andarono diversamente e il piccolo corso finì a Sant’Elena lasciandoci in eredità…una piazza e nulla più, neppure la possibilità di riportare alla luce quel che la dinamite sottrasse agli alessandrini. Infatti, il progetto per valorizzare quegli scavi fu in parte realizzato e non fu poca cosa quel che venne alla luce, purtroppo però il timore di dovere ridurre lo spazio per parcheggiare le auto ebbe il sopravvento e tutto fu nuovamente sepolto.
1 – Plastico custodito all’interno del nuovo Duomo con veduta dei quattro lati dell’antico Duomo, opera di Duilio Giacobone, eseguito nel 2003.
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L’antica Piazza del Duomo, ora piazza della Libertà, così come la volle Napoleone.
Da corso Lamarmora ritorniamo ancora in centro e immaginiamo, con un po’ di fantasia, di essere a fine settecento e di ritrovarci nel bel mezzo di via Larga, per osservare insieme la vecchia Piazza del Duomo, prima della distruzione del Tempio, ordinata da Napoleone nel 1803. Avremo dinanzi la ben nota facciata del 1170 rifatta a strisce rosse e nere con le tre snelle cuspidi recanti sulle cime l’angelo, la croce e il famoso galletto casalese.
Vedremo sulla destra la cappella di S. Giuseppe allungarsi verso la via delle “Frutta” (via Verdi di oggi) e sulla sinistra in linea con la facciata il campanile tozzo e quadro con il famoso orologio a quattro quadranti, col noto lunario. In alto, sopra l’orologio, la cella campanaria quasi soffocata dal tetto piatto; al piano terreno, sempre del campanile, l’ufficio municipale delle gabelle, ossia la esattoria di allora.
Proprio addossato alla terra e in linea col vecchio tempio, figura un modesto e basso arco, che per altro non appartiene al duomo; un arco che di poco supera la portata d’entrata del vicino ufficio Gabello su ricordato e che dall’aspetto può essere scambiato come ingresso di una casa colonica. Continuando ancora in line con la facciata, vedremo che dall’altra parte il nostro arco si appoggia ad una casetta a due soli piani: si tratta di un modesto corpo di guardia militare; qui infatti una sentinella si muove avanti e indietro e quando piove ripara entro una garitta ben visibile contro la caserma.
Il modesto arco sopra indicato è precisamente in allora lo sbocco sulla piazza del Duomo, di una lunga nostra strada, molto importante, che dalla periferia della città giungeva in centro, seguendo nell’ultimo tratto l’andamento dell’Abside del vecchio tempio, per finire quindi sotto l’arco proprio sulla piazza del Duomo. A fine settecento questa strada si diceva delle “Scuole” e come già a suo tempo abbiamo ricordato, riceveva poco prima dell’arco stesso la non meno importante strada Ravanale che appariva nel fondo. Possiamo quindi ben dire che dall’Arco stesso giungeva in piazza la gente che veniva sia da porta Ravanale come da Porta Marengo.
E sempre a proposito dell’incontro delle due strade suddette sul fianco del Duomo, diremo altresì che via Ravanale finendo contro l’Abside visto dalla piazza e precisamente dall’Arco suddetto, sembrava chiudesse proprio la via delle Scuole, sicché l’ultimo tratto in comune aveva l’aspetto di un semplice cortile. Distrutta la vecchia Cattedrale e distrutto l’Arco con le case intorno, sia la strada Ravanale come la strada delle Scuole, vennero a sfociare come oggi vediamo sulla grande e bella piazza che ora si intitola alla Libertà; e mentre la prima al suo termine aveva allora case di poco conto, la seconda venne invece ad appoggiarsi al più bel palazzo di Alessandria, già Ghilini, poi Reale e oggi Palazzo della Prefettura, sebbene appartenga all’Amministrazione Provinciale.
Napoleone diede alla nostra Strada delle Scuole, il pomposo titolo di “Rue Imperial”, dimostrazione evidente della importanza già in allora di questa nostra vecchia linea comunicazione e altresì di uscita dalla città verso Porta Marengo. Caduto Napoleone, si ritornò ancora al vecchio titolo delle Scuole, che durò poi sino alla nuova toponomastica generale del 1873; fu detta allora “via Pontida” a ricordo del convegno famoso dei liberi Comuni al tempo di Barbarossa; e questo sebbene in verità Alessandria già avesse di quei tempi lontani un ricordo veramente significativo nel titolo assegnato alla centrale nostra piazzetta che si intitola appunto alla famosa “Lega Lombarda”.
Benché notevolmente accorciata, via Pontida è rimasta una strada molto importante, e l’importanza si accrebbe ancor più allor quando, distrutta completamente la cittadella spagnola, trovò nuovo ampio sfogo sulla linea della piazza d’Armi, divenuta poi nella nuova disposizione urbanistica l’attuale piazza Genova, via Pontida è oggi precisamente in linea perfetta con la piazza stessa e già come prima, anzi meglio di prima, via Pontida inizia dal verde di piazza Matteotti per finire sul verde viale di piazza della Libertà.
Piero Angiolini – 1959