di Piero Archenti
Leggendo l’articolo di Piero Angiolini scritto nel dicembre del ’53 pare di tornare a rivivere un’epoca lontana…troppo lontana, ricca di ricordi vissuti in prima persona e, tanto per cominciare…dov’è finita la famosa Fiera di San Giorgio? Per chi ha potuto vederne il rapido tramonto nel corso degli ultimi dieci anni, quel che ne rimane è soltanto un ridottissimo scampolo di quel che era la S. Giorgio negli anni del boom economico (1965-1980), ossia quando la Fiera si svolgeva agli Orti e presentava, fra le altre cose, animali da cortile…dal pulcino al possente toro da riproduzione o il mite bue da lavoro, dalle galline alle capre, dai conigli ai cavalli da tiro e da sella, ma anche le enormi trebbiatrici, i trattori, i rimorchi oltre ai prodotti che la terra è in grado di offrire se la si tratta con il dovuto rispetto!
Insomma un elenco infinito di animali e attrezzi da lavoro esposti in Viale T. Michel e nell’edificio dove sorgeva il mattatoio, quindi l’area attualmente occupata dalla Università del Piemonte Orientale “A. Avogadro”, oltre a buona parte della Piazza d’Armi. Insomma quella che si poteva definire una esposizione della potenzialità della nostra economia dal punto di vista agricolo e alimentare che attirava interessi non soltanto regionali.
L’articolo scritto da Angiolini ricorda, purtroppo, un’epoca ormai sparita, infatti, dove si potrebbero ancora trovare i lastroni di ghiaccio citati dal nostro Angiolini? Ma neppure nei mesi più freddi dell’anno è ancora possibile trovare il Tanaro ghiacciato, come invece accadeva ancora nei primi dieci vent’anni del dopoguerra. Ricordo ancora, saranno stati gli anni fra il 1945-1950, quando, accompagnato da mio padre, ebbi occasione di vedere, nei pressi del ponte della ferrovia, un carro trainato da un cavallo che attraversava il Tanaro completamente ghiacciato.
Erano quelli gli anni in cui era ancora consentito dragare il fiume e recuperare la sabbia che poi veniva venduta alle imprese edili. Una operazione da sempre contestata soprattutto da chi, come il WWF, sostiene che dragare il letto del fiume provoca il consumo del suolo e l’occupazione degli spazi di esondazione naturale dei fiumi. Peraltro ogni qualvolta si verificano esondazioni di rilievo, sui giornali imperversano articoli e progetti di legge preoccupanti che invitano a dragare e scavare il letto dei fiumi per risolvere, o ridurre, il problema delle alluvioni. Purtroppo l’escavazione selvaggia, sostiene il WWF, spesso mascherata da necessaria manutenzione è, in realtà, una delle cause dei disastri che si susseguono con sempre maggiore frequenza nel nostro Paese.
Andrea Mandarino, un appassionato e studioso di dinamica fluviale, fra l’altro, sostiene che la più grande opera di cui l’Italia ha bisogno è il riassetto idrogeologico. Ci vorrebbe una maggiore cura nella prevenzione e dunque un’applicazione effettiva delle leggi esistenti. Le piene dei fiumi non si possono evitare e dobbiamo imparare a convivere con loro, adottando strategie specifiche. Stop alla cementificazione, ribadisce Mandarino, e avvio di una pianificazione territoriale efficace, allontanamento degli argini dalle sponde, costruzione di aree di laminazione e casse d’espansione, stop alle escavazioni in aree golenali. Con questi semplici accorgimenti – conclude Mandarino – si potrebbero limitare innumerevoli danni a cose e persone che, immancabilmente, ormai si presentano ad ogni piena di una certa portata.
In effetti sono parole di buon senso assolutamente condivisibili, tuttavia qualcuno dovrebbe spiegare come sia stato possibile rendere impraticabile la navigazione sotto il ponte Forlanini (realizzato nel 1891). E’arcinoto che la maggior parte delle arcate sono tutt’ora in buona parte intasate dai detriti che il Tanaro deposita nel suo alveo, oltre al fatto che, da oltre una ventina d’anni a questa parte, vi stazionano anche parte delle macerie relative al suo abbattimento (1994-96). Possiamo permetterci di sostituire quel ponte ogni cento anni? Non sarebbe molto più saggio provvedere alla sua manutenzione periodicamente? Il nuovo ponte Orti, ricostruito subito dopo l’alluvione del ’94, grazie alla sua inesistente manutenzione, in pratica rappresenta l’ostacolo maggiore al deflusso delle acque provenienti dal ponte Cittadella. Deflusso per altro già messo a rischio dal cosiddetto “naso” realizzato dai nostri imprevidenti predecessori “seppellendo” il lato di sinistra dell’isolotto Galateri, più o meno dove attualmente è pressoché ultimata, fra le altre, persino una graziosa palazzina di tre piani fuori terra. Ovviamente quel terreno “rubato” al fiume prima o poi il Tanaro se lo riprenderà… sperando di non dover piangere altri morti…!
Foto dall’alto al basso:
Il ponte Forlanini nel 1891 quando erano ben visibili tutte le arcate.
Quel che resta del Forlanini dopo la demolizione poco più di cento anni dopo (1996).
L’attuale condizione del Nuovo Forlanini nel 2020…ventiquattro anni dopo.
Edifici realizzati sulla soppressa manica di sinistra dello scomparso isolotto Galateri.
Una delle molte draghe non più attive sull’asta del Tanaro.
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Mercato annonario
Il mercato di via S. Lorenzo è, per dirla alla Zola, il ventre di Alessandria; ogni mattina centinaia e centinaia di persone, in massima donne, si avvicendano intorno ai “banchi” colmi di ogni ben di Dio, ed in brevi ore tutto sparisce nelle capaci borse delle nostre massaie. Il brusio è continuo. Sono le inevitabili discussioni su prezzi e qualità, sono i commenti delle gaie comari sui fatti del giorno. Non per nulla si usa dire che “tre doni i fan in mercà”! Mercato importante, sebbene siano anche sorti taluni mercati rionali in piazza S. Stefano, in Largo Marconi e sulla piazzetta di Santa Croce in via Guasco. Un tempo le bancarelle della verdura si stendevano lungo la stessa via S. Lorenzo, confinante poi, senza fortuna, in v. Giuseppe Borsalino ed ora più saggiamente distribuite in diversi punti della città.
Quando e come è sorto il nostro popolare e giornaliero mercato annonario? Fra tutti è certo il più giovane, e per chi non lo sapesse diremo che rappresenta l’ultimo ricordo dei locali della nostra famosa Fiera che tra il 600 e il 700 rese nota Alessandria in tutta l’Europa. La Fiera, sorta nel 1525, era dapprima installate sulla piazza di S. Giuseppe, dietro al Duomo vecchio (all’incirca odierna Prefettura); nel 600 prese stabile dimora a Porta Marengo e nel 1661, in locali più spaziosi presso Porta Genovese. Così Alessandria ebbe due diverse contrade intitolate alla Fiera: l’una Vecchia (v. Dante) e l’altra Nuova (v. Roma). Risulta che sul finire del 700 il cosiddetto Quartiere della Fiera era chiuso da ben 4 strade: Roma, S. Lorenzo, S. Giovannino (v. Legnano) e Suore di Pozzolo (V.Bergamo); aveva 120 botteghe interne, sale di ritrovo, caffetterie e grandi magazzini. (Oggi l’Upim occupa proprio uno dei vecchi Saloni della Fiera). Ancora nel 1770, l’Arch. Caselli provvide a nuovi locali con due ingressi in v. S. Lorenzo e v. Roma.
Ogni attività cessa nel 1794 in seguito agli avvenimenti di Francia: purtroppo è la fine di ogni splendore. Nel 1813 Napoleone vi alloggia i suoi soldati e scomparso il Dipartimento de Marengo, si inizia nel 1816, l’attuale mercato: sono per primi i macellai che vi aprono le loro botteghe con annessa ghiacciaia dove d’inverno si conservano i lastroni di ghiaccio del Tanaro e la neve dei bastioni!
Nel 1818 diversi locali sono affittati come abitazione e l’anno appresso quello che rimane, diventa foro granario. Invano però si tenta di trasferirvi anche il mercato del grano che rimane in Piazzetta della Lega. Nel 1857 il Comune decide di vendere ai privati il lato di v. Roma e quello di v. S. Giovannino; nel primo sorgono case e palazzi, nell’altro si installano diversi artigiani: per tutti ricordiamo i Fratelli Negri, battiferri rinomati. Quando poi la v. Legnano ospiterà in miseri tuguri i ragazzi spazzacamini, per il popolo diventerà la “strà di spasacamén”!
Nel 1878 si apre infine il grande mercato annonario che riunisce carni e pesci, pollame e uova (già in piazza S. Stefano), verdura e frutta (già in p.za Reale). Allora la v. Verdi, già Palazzo di Città o del Teatro, era detta la strada della Frutta e tuttora nel cortile del Cinema Alessandrino si vedono taluni magazzini dei mercanti del tempo.
Il mercato all’ingrosso di Frutta e Verdura si teneva invece in piazza S. Bernardino (ora Goito) e qui si vendeva anche a maggio, la foglia di gelso, essendo allora usanza da parte delle donne del popolo di mettere “giù in casa” (così si diceva) il seme per “i culalén” (bozzoli).
Piero Angiolini 5-12-1953