di Cristina Bargero
Cosa ci aspetterà per l’anno nuovo?
Ibis, redibis non morieris in bello: questo era il responso che la Sibilla Cumana fornì ad un soldato che le si era rivolto per conoscere il suo destino.
A seconda della punteggiatura il significato cambia e significa salvezza oppure morte.
Altrettanto sibillino è fare previsioni per quello che capiterà nel 2020 alla nostra economia. Le stesse infatti possono mutare a seconda dei fattori presi in considerazione, cui si aggiunge, inventabilmente l’imponderabile.
A livello globale si stima una crescita del PIL pari al 2,6% e vi sono segnali di stabilizzzazione, legata alle politiche economiche e a una tenuta dei consumi.
L’economia europea ha sopportato situazioni ben più critiche, ma un’elevata incertezza è prevista soprattutto per i paesi dell’Eurozona con il debito più elevato.
D’altro canto la politica commerciale degli USA, e in particolare l’aumento dei dazi verso la Cina, sta conducendo ad un effetto sostituzione (trade diversion) di cui si avvantaggiano Italia e Germania.
Oggi più che mai tuttavia pesa l’incognita sull’assetto internazionale. La situazione geopolitica (come dimostrano i fatti degli ultimi giorni con le tensioni in Medio Oriente, dall’Iran alla Libia) condiziona l’approvvigionamento, e soprattutto la fluttuazione dei prezzi delle materie prime, a partire dal petrolio, e la bilancia commerciale, con ricadute sull’esportazione.
Per l’Italia, poi, come sottolinea la Corte dei Conti, l’anno appena cominciato “si preannuncia impegnativo per il governo di conti pubblici….. e le difficoltà interessano ampi comparti della domanda, in particolare le componenti interne”.
La Commissione Europea ha tagliato le stime di crescita del nostro Paese, da 0,7% a 0,4%, condannandolo ad essere fanalino di coda dell’UE, con un “mercato del lavoro rimasto resiliente di fronte al recente rallentamento economico, ma con gli ultimi dati che puntano ad un deterioramento”.
Infatti il tasso di disoccupazione è pari al 9,1%: peggio solo la Grecia col il 13,9%.
Vi sono ancora poi partite spinose non ancora concluse come quelle dell’Ilva, la cui chiusura costerebbe all’Italia 24 miliardi di euro e l’1,4% del PIL, e la vicenda Alitalia, la cui soluzione pare ancora lontana.
Più che fare previsioni azzardate c’è piuttosto da augurarsi che il nostro paese intraprenda alcune scelte strategiche di politica industriale infrastrutturale che imprimano una spinta alla crescita.