Quest’anno la Festa dell’Inquietudine ha celebrato tre giganti del passato: Giuseppe Verdi, Gabriele D’Annunzio ed Enzo Tortora.
Per tutti un passato più o meno dimenticato, vicende umane differenti, caratteri forti e – ciascuno a suo modo – fragili.
Il 2 giugno, festa di una Repubblica perennemente in crisi, si è parlato del Risorgimento italiano e di quanto, per un buon trentennio, l’opera verdiana sia stata locomotrice delle passioni e degli ideali romantici dello Stivale.
“Nell’Ottocento andare all’opera infiammava gli animi; oggi accade un analogo fenomeno frequentando gli stadi durante le partite di calcio” spiega la professoressa Bianca Montale, docente di Storia del Risorgimento presso l’Università prima di Parma e poi di Genova.
Ecco allora che scende in campo la nostra squadra, con la maglia rossa, i calzoncini bianchi e i calzettoni verdi; ti immagini lo squadrone.
Schierati per l’esecuzione dell’inno nazionale, i nostri eroi.
Il portiere votato al sacrificio, ultimo baluardo, Carletto Pisacane.
Una difesa in linea con al centro due fratelli oriundi, Attilio ed Emilio Bandiera.
Un centrocampo diretto dall’intelligente regia di Beppe Mazzini e con avanti un centrattacco che si butta su tutte le palle: Beppe Garibaldi.
In panchina il mister, Camillo Benso, con il direttore sportivo, Max D’Azeglio.
Risuonano nell’aria le prime battute dell’inno nazionale, composto da Beppe Verdi.
La curva, gremita di migliaia di patrioti, si muove come un corpo unico cantando in coro.
Individualità collettiva.
Bella immagine.
Restiamo in attesa di un nuovo Risorgimento.
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