Restiamo in attesa del crollo dell’Arco di via Dante? [Lisòndria tra Tani e Burmia]

di Piero Archenti

 

Il sindaco Nicola Basile non ne fece mai un mistero infatti, se fosse dipeso da lui, l’Arco di via Dante lo avrebbe abbattuto subito dopo il suo insediamento a Palazzo Rosso. Fortunatamente, la Sovrintenza ai Beni Monumentali non acconsentì alla demolizione di una delle poche testimonianze sopravissute alla smania demolitrice dei nostri antenati.
Si, è vero che non si tratta di un’opera particolarmente importante, ma è anche vero che se fosse stata abbattuta come auspicava Basile (per altro un sindaco che fu molto amato e apprezzato dagli alessandrini tutti) oggi non avremmo neppure quello scampolo di monumento settecentesco che si apre piacevolmente sui giardini di piazza Matteotti.
Una sola critica, e questa volta riguarda la sua manutenzione, invero assai scarsa, come denunciano le chiazze di intonaco scrostato che mettono in evidenza i mattoni di cui è costituita. Niente marmo, non ce lo potevamo permettere nel 1768 (questa è la sua data di nascita) figurati al giorno d’oggi! Agli alessandrini basterebbe una buona mano di intonaco… perbacco, almeno quello se lo merita!
Chi entra in Alessandria da Porta Marengo, si trova quel manufatto scrostato come primo impatto visivo…e non è un bel biglietto da visita!
Da anni omai si trova in quelle condizioni pietose, ed è un fatto incontrovertibile, perciò ora sarebbe il caso che si intervenga per riportarlo in condizioni più dignitose o, come si direbbe in dialetto alessandrino: “A l’unùr del mònd!”.
Dell’altro Arco posto su via Guasco (all’epoca via del Carmine) che si affacciava sull’attuale piazza della Libertà possiamo soltanto parlarne perchè non esiste nessuna testimonianza di quel che era, soltanto ricordi tramandati ma, che si sappia, nessun disegno o dipinto che ci faccia perlomeno comprendere com’era! E si che Piero Angiolini nell’articolo sottostante (che vi proponiamo) sostiene essere stato ben più importante dell’Arco posto in piazza Matteotti.
Infatti sappiamo, come scrive Angiolini, che l’Arco del Carmine fu fatto erigere dal Governatore spagnolo Agostino Medina, soltanto per salutare il passaggio di Margherita d’Austria che andava sposa a Filippo di Spagna.
Insomma, in Alessandria, ma questo vale per l’Italia tutta, sono transitati, per un motivo o per l’altro, spagnoli, francesi, tedeschi, austriaci, americani, inglesi… per citare i più recenti, e tutti, chi più chi meno, ci hanno messo del loro… e non sempre per migliorarla…grama Lisòndria!
L’Arco di via Dante e l’Arco del Carmine
Di tanto in tanto, quasi ad epoca fissa, ritorna alla ribalta della cronaca alessandrina, la vicenda dell’arco di via Dante innalzato nel 1788: deve restare oppure cadere? Il Sindaco Basile, in recente scritto, ha ripreso il vecchio motivo della demolizione e quasi si rammarica che le bombe del 1940 – 45 lo abbiano risparmiato per i posteri.
Tuttavia l’arco ha i suoi sostenitori e in alto loco la Soprintendenza ai monumenti; per altro il buon popolo che non sa come e perchè l’arco è nato, lo ha battezzato col nome di “Marengo” a ricordo della battaglia famosa del 1800, e con tale titolo rimane ancora. Taluno però si chiede: ma se deve proprio rimanere, perchè non lavargli la faccia?
A torto o a ragione resta infatti trascurato, e se quì ne riparliamo è per ricordare che, giusto centocinquant’anni fa, ben diversamente le cose sono andate per un altro arco trionfale, assai più importante; venne elevato nel lontano 1699, essendo Governatore lo spagnolo Agostino Medina, per salutare il passaggio di Margherita d’Austria che andava sposa a Filippo di Spagna.
Era fatto di buona muratura e posto all’inizio della Contrada del Carmine (via dei Guasco); con due imposte, da una parte si appoggiava alla casa Caselli di via dei Sarti (Migliara), dall’altra alla casa detta del Seminario (ora Peppino Vitale).
Non doveva mancare di una certa imponenza se in alto era coronato da una figura di donna e precisamente una “Fama” con tanto di tromba; portava il titolo di Arco Ravanale, nome rimasto poi popolare in quanto i francesi, distrutto l’Arco, vollero che la Posta, fosse trasferita al fondo di via Mazzini, chiamata appunto contrada Ravanale.
Al tempo dell’arco del Carmine,come era comunemente detto, la Contrada Fiera Veccha (via Dante) si prolungava a fianco del Duomo antico, sin quasi contro il palazzo del Comando e quando per creare la “Place d’Armes” fu distrutto il Duomo e parte della strada, anche l’arco fu sacrificato.
Il Governo francese fece subito riedificare la casa Cermelli (come ora si vede) in quanto casa di un Cardinale, mentre a lungo rimase in piedi l’imposta contro la casa del Seminario; questa casa fu rifatta solo nel 1853 dopo molte contese con il Comitato municipale di Ornato, vecchio titolo della Commissione edilizia. Si vuole che ultimo ricordo dell’arco del Carmine sia rimasta la statua della “Fama” che un tabaccaio della piazza tenne a richiamo del suo negozio; pare sia poi finita nel cortile di casa Gavigliani di via Ravanale, quale fantoccio per il cannone che nel cortile stesso, a fianco della Gamberina vecchia, sparava ogni giorno un colpo, segnale del mezzodì!