Per essere un popolo sovrano non serve gridarlo in giro ai quattro venti, ma rendersi consapevoli sia della propria grandezza che delle proprie miserie. Qualcuno che adesso è alla guida del nostro carrozzone sbilenco che viaggia sull’orlo del fosso, se la prende giustamente con tedeschi e francesi che invece viaggiando sulla strada asciutta si permettono di darci lezioni e qualche volta anche qualche insulto.
A me personalmente i tedeschi non sono mai piaciuti per carattere, oltre che per la colpa di aver mandato al potere l’omino con i baffi, ma devo riconoscere che sono bravi in tutti i lavori che fanno, sono intelligenti e scrupolosi e poi hanno insegnato al mondo tante cose, dal campo della musica, alla filosofia, alle scienze esatte eccetera. Riguardo ai francesi ammiro il loro senso dello Stato, che, contrariamente al nostro, è una macchina che funziona sempre, indipendentemente dal potere politico che ne tiene le redini.
Ho avuto una prova lampante di quello che dico, anche personalmente, quando per ragioni di assistenza sanitaria per mia figlia allora minorenne in viaggio in Corsica ho ottenuto un rimborso dalla sanità pubblica francese senza alcun problema burocratico ed in un tempo assolutamente inimmaginabile per la nostra fiscalità (meno di venti giorni). Ebbene, però quando sento il presidente Macron esprimersi nel modo in cui si è espresso nei nostri confronti, vorrei ricordargli le gravissime colpe del colonialismo francese, le sporche combutte anche recenti con tutti i dittatori africani complici della Francia, per scaricare sul suolo delle loro ex colonie i rifiuti nucleari e di vario genere (delitto di cui però anche noi in Somalia ci siamo macchiati) il vergognoso tentativo di sostituirsi a noi nei rapporti di controllo economico in Libia, con l’assassinio troppo frettoloso di Gheddafi e del suo clan.
Almeno da questo punto di vista la Germania ha meno colpe sulla coscienza, non essendo mai stata una grande potenza coloniale. Anche i tedeschi, quando possono, prendono in giro la nostra poca voglia di rispettare le regole, la corruzione del nostro apparato statale, la nostra poca serietà lavorativa. Bisogna riconoscere che quando lo pensiamo noi dei meridionali non ci sembra un rimprovero, mentre quando sono gli altri che ce lo sbattono in faccia la cosa ci brucia non poco e ci risentiamo, rispondendo agli insulti non con la ragionevolezza di altri esempi virtuosi, ma con altrettanti insulti. E dire che da Goethe in avanti i tedeschi in genere hanno sempre avuto una infinita ammirazione per l’arte italiana, per il genio italico non solo nell’architettura e nella pittura ma pure nella letteratura, nella poesia, nella musica, al punto che anche grandi autori di lingua tedesca come Mozart hanno composto molti brani in italiano, la lingua del sommo poeta Dante. Di questa sovranità dovremmo andare fieri davanti al mondo, non per la potenza truce di una forza che peraltro non abbiamo.
Adesso per posare i piedi vorrei spostare il problema della sovranità sul concreto delle nostre miserie. Siamo convinti che mandare a casa qualche migliaio di migranti ci risolva i problemi? O forse, pensandoci bene ce li aggraverebbe? Se pensassimo di poter tornare indietro faremmo un errore ancora più grave di quelli che abbiamo fatto finora. Abbiamo intere regioni in crisi di natalità e il problema demografico si aggrava ogni anno di più. Ad esempio nel nostro paese, che sembra ancora abbastanza vivo rispetto a molti qui attorno, stanno diventando una rarità i matrimoni e i battesimi in numero annuo inferiore alle dita di una mano, mentre nell’anno in cui sono nato, il 1942 (anno tremendo per somma di disgrazie) erano state una quarantina le nuove culle. Ci sono paesi di montagna e di alta collina quasi del tutto spopolati, con le scuole e le chiese che stanno crollando assediate dalla vegetazione selvatica.
Abbiamo paesi qui attorno a noi come Alluvioni con decine di cascine abbandonate e cadenti, paesi come Montecastello senza più un’attività artigianale o commerciale e dove associazioni di volontariato devono pensare a rifornire alcuni vecchi soli. L’altra sera sono dovuto andare a Lobbi per le prove di canto nel locale della ex Soms e mi sono fermato sulla piazza della chiesa per parcheggiare. Sono rimasto colpito dalle case lì attorno, abbandonate e prossime al degrado, sia quelle private che quella di pubblica proprietà e pure rattristato nel vedere le erbacce alte quasi un metro vicino al marciapiede sulla piazza davanti alla chiesa. Mi sono domandato se non era il caso di prendere un falcetto e provvedere subito, anche senza il permesso dell’autorità comunale.
Da un lato sfruttiamo in modo vergognoso i lavoratori neri obbligandoli a vivere come bestie pagandoli pochi euro al giorno e poi ascoltiamo ammirati chi grida che bisogna invitarli a riprendere il cammello per ritornare al loro paese. Abbiamo il coraggio di chiamare crociera il viaggio di una nave di soccorso diretta verso la Spagna, ma abbiamo dimenticato che senza gli immigrati non saremmo più in grado per esempio di trovare il latte sugli scaffali dei nostri negozi, o le arance ed i pomodori a prezzi abbordabili. Chi salirebbe ancora sulle piante a raccogliere la frutta, chi si piegherebbe a raccogliere spinaci freschi, fagiolini, fragole eccetera, eccetera.? Per non dover più salire sui ciliegi abbiamo abbattuto tutte le piante da Pietramarazzi a Montecastello fino a Rivarone, ma continuiamo a voler fare la sagra delle ciliegie lì come a Garbagna, ma facendo arrivare la frutta da lontano, magari dalla Turchia o addirittura dalla Cina.
Nei campi di Alluvioni non si vedono quasi più sedani coltivati come un tempo, ma alla sagra del sedano non si rinuncia perché porta denaro utile ai bisogni del paese. Mi dicono che adesso i sedani arrivano o da molto lontano (si sussurra dalla Cina) o magari chi lo sa dai cinesi che stanno qui a noi vicino nelle serre dell’Olliana e in parte da Isola Sant’Antonio, che è un paese con ancora qualche coltivatore giovane e volonteroso e dove però non pochi neri immigrati sono occupati in campagna nell’orticultura in genere e soprattutto nei campi di meloni.
Pensiamo come gestire meglio il futuro invece di gridare una sovranità che non ci appartiene e forse non ci meritiamo più. La nostra agricoltura sta tentando faticosamente di cambiare, puntando non più sulla quantità del prodotto ma sulla qualità, individuando le eccellenze sui cui valga la pena investire. Su questo dovremmo aspettarci collaborazione e solidarietà fra le giovani generazioni, indipendentemente dal colore della pelle.
Ho letto in questi giorni alcune pagine di storia della prima guerra mondiale ed a proposito del presidente francese Clemenceau, che la pensava di certo in maniera diversa dal bamboccio attuale chiamato Macron (i politici moderni anche da noi non sono più quelli di una volta, pensiamo solo per esempio ad uno come De Gasperi), anche perché il presidente di allora veniva da un ambiente famigliare e culturale molto diverso da quello di oggi, e mi permetto di trascrivere una battuta del padre di Georges Clemenceau, un medico, un intellettuale laico che era stato un oppositore del potere del regime imperiale oscurantista di Napoleone III negli anni dal 1830 al 1850 ed era stato anche incarcerato più volte per le sue idee di libertà e di progresso sociale, il quale, in risposta al figlio impegnato in politica che gli aveva giurato di vendicarne la memoria, gli rispose: “Se veramente vuoi vendicarmi, lavora!”.
Ai nostri figli dovremmo ripetere questo semplice ma imperativo consiglio a lavorare per la propria famiglia come per il bene comune anziché illuderli di un improbabile rivalsa, specie se accompagnata dalle armi, a danno di altri poveretti che premono ai nostri confini per paura della fame e della guerra. Le guerre hanno sempre solo lasciato altri guai ai poveri, in aggiunta a quelli che già c’erano prima, ricordiamocelo!
Timo Luigi – Castelceriolo