Armosino (Cgil): “Nell’alessandrino crescita esponenziale di morti e infortuni sul lavoro”. E’ ‘la strage dei nonni’

Armosino (Cgil): “Reagisci Alessandria, la nostra provincia torni alla sua vocazione produttiva”. Sul capoluogo: “Sembra Sarajevo dopo i bombardamenti” CorriereAldi Ettore Grassano

 

 

“Altro che crisi uguale diminuzione degli infortuni sul lavoro: i dati dal 2013 ad oggi raccontano una storia diametralmente opposta”. Franco Armosino, segretario generale della Camera del Lavoro di Alessandria, statistiche alla mano lancia un segnale di allarme, che spera possa essere raccolto sia dalle istituzioni che dalle imprese: “non possiamo fare finta di niente: in provincia di Alessandria siamo passati dai 3 morti sul lavoro del 2012 ai 9 del 2017, a fronte tra l’altro di una diminuzione del numero di occupati, che sono circa 10 mila in meno. Vogliamo pensare a coincidenze, o ci poniamo seriamente il problema, e cerchiamo di risolverlo?”. Agricoltura, ediliza, manifattura i comparti più critici, con un altro fenomeno preoccupante: “è la strage dei nonni, nel senso che cresce il numero dei morti, o degli infortunati gravi, over sessanta. Un altro indicatore assolutamente significativo, e preoccupante”.

 

Segretario Armosino, la prima equazione a cui viene da pensare è: meno lavoro, meno infortuni….
Equazione falsa, i dati dicono il contrario. Nella nostra provincia in pochi anni siamo passati da 180 mila a 170 mila occupati, e al contempo i morti sul lavoro sono aumentati esponenzialmente: 5 nel 2011, 3 nel 2012, 4 nel 2013, addirittura 10 nel 2015, 6 nel 2016, 9 nel 2017. E su scala nazionale non va meglio: 453 nel 2013, 746 nel 2017. Oltretutto questi dati non tengono conto dei morti ‘in itinere’, ossia mentre andavano o tornavano al lavoro, in auto, camion o bicicletta. Includendoli, si arriva nel 2017 a 1.029 morti: e secondo alcuni il dato sarebbe sottostimato, perché non sempre i decessi in itinere vengono considerati tali.

 

Una carneficina inquietante: ma la modernità non dovrebbe offrirci lavori sempre più sicuri e tutelati?
Ecco, appunto. Scaviamo un po’ dentro i dati, e scopriamo che in agricoltura si muore per lo più schiacciati da vecchi trattori, o nelle fabbriche a causa di muletti che non dovrebbero più essere in attività da anni. Senza contare l’edilizia, dove si cade da impalcature perché spesso non si rispettano le procedure di sicurezza. E poi c’è ‘la strage dei nonni”…

Ossia?
L’età media di chi muore sul lavoro è sempre più elevata, il 65% è sopra i 45 anni, con un numero significativo di ultra sessantenni. Talora già in pensione, soprattutto in agricoltura. Il che significa che sempre più persone hanno necessità di fare lavori usuranti e rischiosi anche ad un’età avanzata. I morti sono quasi tutti maschi.

Gli stranieri per quanto incidono?
La percentuale negli anni oscilla tra il 12 e il 15%: siamo quindi sostanzialmente nella media, rispetto alla percentuale di forza lavoro impiegata.

Sul fronte della sicurezza si fa abbastanza?
Se i dati sono questi, evidentemente no. E lo dico, badi bene, partendo da un’autocritica: anche i sindacati troppo spesso in questi anni hanno fatto finta di non vedere, per poi magari indignarsi solo quando ci scappa il morto. Il che va bene, perché fa accendere i riflettori: ma è poi nel quotidiano che occorre incidere di più, esigere controlli e verifiche. Prima dell’incidente mortale, non il giorno dopo.

In una parola, prevenzione…
Esattamente. Lo so che non è facile, e che dopo l’esplosione della crisi la parola d’ordine un po’ di tutti, lavoratori compresi, è stata ‘pensiamo a tenerci stretto il lavoro’. Ma senza controlli, e applicazione rigorosa delle regole, si va alla mattanza. Ad Alessandria, per fare un esempio che conosco, lo Spresal lavora bene, con metodo, sono persone qualificate. Ma hanno risorse limitatissime, e sono pochi: e poi non si può davvero sentire che non ci siano i soldi per mettere la benzina nelle auto. Ma dove siamo finiti? Poi si scopre dai bilanci delle regioni che anche quei pochi soldi disponibili in sanità per la prevenzione non vengono utilizzati. E’ chiaro che, in queste condizioni, gli ispettori è già molto se riescono a verificare tutte le situazioni segnalate come ‘a rischio’. Ma di fare ispezioni ‘a tappeto’, diciamo preventive, non se ne parla proprio…

Segretario Armosino, gli incidenti mortali sono la punta dell’iceberg: e il resto?
Il resto segue a valanga. Aumentano gli infortuni, soprattutto quelli gravi e invalidanti. E si mostra un preoccupante ‘cedimento’ anche sul fronte dei controlli ambientali sul posto di lavoro: da lì è purtroppo logico attendersi nei prossimi anni un aumento delle malattie mortali.

L’alessandrino è un autentico ‘focolaio’ di aree a rischio: dall’amianto alla chimica, non ci facciamo mancare nulla. Eppure secondo lei la cultura della prevenzione e dei controlli è in ulteriore calo?
(sospira, ndr) Vogliamo parlare della Fraschetta, e dell’Osservatorio Epidemiologico? Negli anni scorsi l’assessore all’ambiente del comune di Alessandria, Claudio Lombardi, si è battuto (spesso in minoranza, quanto a vera sensibilità ambientale, anche all’interno della sua parte politica) perché fosse avviato un percorso di indagine puntuale sullo stato di salute degli abitanti della zona attorno agli stabilimenti del polo chimico. Ebbene, se si va a leggere quei dati seriamente, c’è poco da stare tranquilli, con malattie rare presenti in percentuali anche doppie rispetto alla media nazionale. Tanto che fu predisposta una seconda fase di analisi e verifiche. Ma sono partite? Partiranno? Ci piacerebbe che da Palazzo Rosso continuasse ad esserci un forte livello di attenzione, ma non sappiamo se sia e sarà così..

Intanto è un fatto che cromo esavalente e molto altri inquinanti sono lì nel sottosuolo, fuori e dentro la fabbrica, e ci resteranno a lungo…
C’è un processo di appello in corso, e lasciamo che la giustizia faccia il suo corso. Ma i tribunali non bastano, quando c’è in ballo la salute, e la morte, delle persone: lavoratori ma anche semplici abitanti della zona. Che il cromo esavalente ci sia, e sia cancerogeno, è un fatto. La responsabilità può anche essere di proprietà precedenti, ma chi oggi gestisce la fabbrica deve farsi carico di una bonifica seria. Segnalo, tra l’altro, che Solvay anche in questi anni di crisi ha fatturati in crescita del 25% l’anno, quindi le risorse da investire ci sono. Ci dicono che le operazioni di trasformazione del cromo esavalente in cromo tetravalente, ossia in uno stato non nocivo, sono in corso, e ne siamo lieti, anche se ci vorranno decenni. Ma soprattutto la bonifica è in corso solo dentro il perimetro dello stabilimento: ma di elementi cancerogeni è piena anche l’area dell’ex zuccherificio, lo sanno tutti, e si arriva fino alle porte di Alessandria. Ecco allora che il privato deve fare la sua parte, ma anche il pubblico ha il compito sia di vigilare, sia di elaborare progetti, e reperire risorse, che permettano interventi e progetti a più ampio raggio? Sta succedendo questo? Non mi pare proprio…

Nonostante lo scenario, segretario Armosino, ci sono elementi di ottimismo?
Più che ottimismo occorrono volontà e determinazione. Saper fare, e voler fare. Con un’adeguata attività di prevenzione sui luoghi di lavoro, e con una corretta politica di incentivi per la sostituzione di macchinari e strumenti ormai superati e pericolosi, morti e infortuni sul lavoro diminuirebbero certamente. E spero sia chiaro a tutti, imprenditori e politici, che la sicurezza è un parametro fondamentale della buona economia di mercato. Le aziende serie in un territorio che non sa esprimere qualità anche da questo punto di vista ad investire non ci vanno. O se ci sono magari disinvestono: Alessandria da questo punto di vista deve davvero svegliarsi, e rapidamente.