Accogliamo l’invito di Roberto Sarti a ragionare sul tema dello Ius Soli sotto la spinta di argomentazioni razionali e non suggestive.
Sarti ci spiega che “certamente” lo Ius Soli “non rappresenta il problema vitale per questo Paese in quanto basta guardarsi in giro per accorgersi che gli italiani sono alle prese con altre problematiche molto più importanti e contingenti”.
Ma condire di benaltrismo il dibattito non è affatto razionale. Per questo, vorremmo contribuire a migliorare il livello della discussione con precisazioni ed informazioni maggiormente dettagliate, che a Sarti saranno sfuggite, chissà.
“I bambini che crescono in Italia”, si domanda Sarti, “non partecipano alla vita sociale, non usufruiscono di tutti i servizi?“. La risposta è No.
Siamo in grado di fare un elenco di solo alcuni tra gli ostacoli quotidiani che rendono la vita dei giovani figli di immigrati diversa da quella dei loro coetanei in possesso di cittadinanza italiana:
1) fino all’età di 14 anni, il minore nato in Italia da madre e padre stranieri non è titolare di un permesso di soggiorno proprio, ma risulta iscritto su quello dei genitori: anch’esso, di rimando, è quindi soggetto ai periodici adempimenti burocratici e amministrativi per il rinnovo, sul cui ottenimento peraltro non c’è alcuna sicurezza;
2) durante la fase di rilascio e rinnovo del permesso, il minore non può viaggiare all’estero: niente gite scolastiche, viaggi d’istruzione o visite a parenti residenti in altri paesi europei;
3) per poter fare richiesta di cittadinanza al compimento dei 18 anni, occorre aver vissuto ininterrottamente sul territorio italiano ed essere in grado di dimostrarlo (ad esempio attraverso certificati di vaccinazione, frequenza scolastica, ecc): le vacanze nel paese d’origine o la semplice dimenticanza di notificare un cambio di residenza possono compromettere il rilascio della cittadinanza;
4) il bambino accompagnato da genitori “irregolari” non ha alcuna garanzia di poter continuare a soggiornare in Italia qualora i genitori si trovino nella condizione di dover rientrare nel proprio paese, nonostante viga il principio di inespellibilità del minore;
5) in quanto cittadino non italiano, un figlio di genitori immigrati non può tesserarsi presso una Federazione riconosciuta dal CONI né quindi far parte delle delegazioni nazionali e ciò a prescindere dai suoi meriti sportivi.
Quindi, no. Non usufruiscono di tutti i servizi.
Secondo Sarti, però, “la cittadinanza rappresenta l’attribuzione di uno status che non tutti gli stranieri vogliono ottenere”. La razionalità che Sarti invoca dovrebbe suggerire di rifarsi alla normativa proposta: l’acquisizione della cittadinanza dovrà accompagnarsi a una dichiarazione di volontà presentata in Comune da un genitore entro il compimento della maggiore età del figlio. Altrimenti, il diretto interessato potrà presentarla tra i 18 e i 20 anni. Se lo vogliono, lo dichiarano. Semplice. La scelta è dell’individuo. Non della legge. La legge dovrebbe proporre un percorso di inclusione.
Noi di Possibile riteniamo che costringere i giovani figli di non italiani a un tragitto così tortuoso, porli sotto il giogo della burocrazia quando cerchiamo di insegnar loro l’importanza e l’utilità delle leggi, insistere nel definirli “stranieri” nel Paese che sentono come proprio, ribadire continuamente la loro estraneità a quella collettività della quale vorremmo condividessero i valori proprio negli anni in cui si formano il loro immaginario e la loro personalità, non sia esattamente il modo più efficace per aiutare questi ragazzi a raggiungere la famigerata “integrazione”, che invece si trova nella loro quotidianità, così simile a quella dei nostri figli, nei loro rapporti di studio, di lavoro, d’amicizia e d’amore.
Riguardo al “percorso virtuoso”, quello migliore possibile è già tracciato: un cammino scolastico che punti alla formazione di cittadini in grado di partecipare consapevolmente alla costruzione di una comunità “coesa e vincolata ai valori fondanti della tradizione nazionale, ma che può essere alimentata da una varietà di espressioni ed esperienze personali molto più ricca che in passato”. Sono parole contenute nelle “Indicazioni nazionali per il curricolo della scuola dell’infanzia e del primo ciclo d’istruzione”, documento del MIUR (Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca) che prevede la cittadinanza come argomento trasversale obbligatorio da proporre ai ragazzi apolidi nelle scuole. Parole che sottoscriviamo. Parole che al proprio interno contengono un razionalissimo piano di formazione dell’identità civica, di costruzione di un idem sentire che vada al di là di etnie, confini, provenienze geografiche. Perché sì, un bambino (senza cittadinanza) può essere molto più consapevole di altri di cosa significhi essere cittadino.
Possibile Alessandria – Comitato Macchiarossa