Per il vino, come per qualsiasi altra cosa, esistono le mode. La moda del vino è stata decisa a lungo dal mercato inglese, che ha consentito la meritata ascesa dello Champagne e dei grandi vini liquorosi mediterranei (Jerez, Porto, Madeira, Marsala); la nobiltà di ambiente napoleonico ha garantito fortuna ai divini nettari di Bourgogne; l’aristocrazia e l’alta borghesia europee hanno bevuto con passione i rossi di Bordeaux e i bianchi del Reno.
All’interno di questo panorama, l’immagine dell’Italia era legata a due suoi importantissimi vini dolci: il già citato Marsala e l’Asti Spumante. A questi si sono affiancati vini altrettanto grandi che costituiscono da lunghissimo tempo la nostra identità enologica: Brunello di Montalcino e Barolo, rosso del Chianti e Vinsanto, Amarone; e poi il Prosecco, la cui origine siamo stati costretti a tutelare a causa dei molti tentativi d’emulazione; piú recentemente, i SuperTuscan e i Franciacorta.
(Anche se bisogna tener presente che non sempre si dà l’immagine di sé che si crede di dare: grandi importatori internazionali legano indissolubilmente l’immagine dell’Italia al Pinot Grigio, vitigno che a quanto pare tutti credono ci rappresenti; le cause di tale convinzione rimarranno un mistero, ma col fatto bisogna confrontarsi.)
Da noi, come s’è detto su queste pagine digitali parlando di Lombardia, la moda la detta Milano – anche se Roma ha naturalmente una voce molto forte –. Negli ultimi anni, s’è vista l’esplosione della Franciacorta; poi dei vini dell’Etna (col forte contributo del gusto di Roma); del Traminer Aromatico (spinta questa tutta milanese che poi la Capitale ha ereditato con ritardo).
E si sarà certo notato come ormai l’AltoAdige sia sinonimo di qualità e raffinatezza. E bisogna dire che è bello quando, come in questo caso, le mode sono generate da effettivo livello qualitativo. Si deve anche segnalare come l’ascesa di questa Regione proprio in questo tempo sia da mettere in collegamento con una sua recente ripresa dal punto di vista vitivinicolo, dopo il lungo tratto di sofferenza attraversato dal settore dopo l’annessione all’Italia e l’invasione del parassita fillosserico.
Una caratteristica rilevante della vitivinicoltura altoatesina è il lavoro delle cooperative, che in nessun’altra Regione d’Italia (parlando naturalmente in linea generale) lavorano bene quanto in questa. Anche se questo non deve distogliere l’attenzione anche da piccoli e grandi produttori indipendenti.
Si tratta quasi solo di viticoltura di montagna.
Questo è particolarmente evidente nella D.O.C. AltoAdige (o Südtiroler), che comprende parte della Provincia di Bolzano e s’incunea verso il nord della Regione; di particolare interesse è la Denominazione Lago di Caldaro, che si sviluppa intorno allo specchio d’acqua omonimo; mentre la D.O.C. Valdadige corre nella valle del fiume ed è in comune col Veneto nella Provincia di Verona.
In quest’ultima zona, si coltivano prevalentemente vitigni internazionali: è probabilmente originario proprio di qui il Traminer Aromatico, e il Pinot Nero raggiunge in questo territorio vette espressive straordinarie; cosí anche lo Chardonnay e il Müller-Thurgau hanno trovato un ottimo ambiente, assieme al Pinot Grigio; da segnalare pure gli ottimi vini da vitigni della famiglia della Schiava. A Caldaro regnano incontrastati il Sauvignon e il Pinot Bianco, che qui prendono tratti soavi ed estremamente caratteristici.
Attorno a Bolzano, il protagonista è il meraviglioso rosso da uve Lagrain; ma vi si coltivano anche con ottimi risultati il Sauvignon e il Pinot Bianco cosí come la Schiava.
Leggendaria è poi la zona di Merano, dal terreno sabbioso e dal clima peculiare, dove eccellono il Pinot Nero e la Schiava insieme col Pinot Bianco; a Merano si tiene anche ogni anno un importantissimo festival enologico. La Val Venosta e la Val d’Isarco si caratterizzano invece per una netta predilezione verso vitigni di diffusione germanica: Riesling per entrambe, Sylvaner e Kerner oltre al Müller-Thurgau per la seconda; che qui però prendono toni tutti particolari e territoriali.