Il prossimo fine settimana, quello delle festività pasquali, sarà segnato da un evento importante per il mondo del lavoro e per i diritti dei lavoratori. I dipendenti dei vari marchi presenti all’outlet Mc Arthur Glenn di Serravalle Scrivia, in provincia di Alessandria (il più grande outlet d’Italia e fra i più grandi in Europa) hanno deciso due giorni di sciopero, per protestare contro la decisione di tenere aperto il centro anche nella giornata di Pasqua. Si tratta di circa duemilacinquecento persone, in gran parte donne, la cui mobilitazione assume una molteplicità di valori, che vanno oltre la pur importantissima e immediata rivendicazione: il sacrosanto diritto di festeggiare la Pasqua in famiglia.
Intanto parliamo di una realtà enorme, una sorta di Truman Show, strutturato come una cittadina virtuale, che rappresenta ed enfatizza una delle declinazioni in cui ha trovato corpo un modello di sviluppo commerciale, divenuto al tempo stesso un paradigma della modernità economica. Con il suo carico di contraddizioni. Centri come quello di Serravalle non si limitano a proporre offerte e occasioni di acquisto convenienti alla clientela, ma la catturano in una rete ammaliante di richiami e di sogni. Chi può partecipa alla festa in modo integrale, facendo acquisti nei negozi dei marchi più prestigiosi; chi non può si accontenta di ciò che è alla portata delle proprie tasche, ma tutto avviene in uno spazio condiviso, almeno all’apparenza. Senza il fastidioso senso di esclusione che i comuni mortali provano talvolta passeggiando per le “vie del lusso” delle città italiane.
Sono circa cinque milioni all’anno i visitatori dell’outlet e dell’adiacente retail park. Una folla che accorre da ogni dove, certo in misura prevalente per fare acquisti e andarsene con borse piene e carte di credito alleggerite, ma anche (e vale soprattutto per gli “indigeni”, tra i quali chi scrive), semplicemente per trascorrere un po’ del tempo libero con i familiari, mangiare qualcosa, concedersi una bibita o un gelato, in questo ben allestito succedaneo del centro di una città. Per realizzare tutto ciò sono stati necessari investimenti enormi, e progressivi stravolgimenti di carattere ambientale e paesaggistico, portati a termine in fasi successivi a ridosso delle belle e prestigiose colline del Gavi.
Ma alla fine l’enorme parco commerciale, diventato una delle principali mete turistiche del Nord Ovest, ha generato molti posti di lavoro e costituisce una delle leve sulle quali le amministrazioni locali puntano per valorizzare il territorio e dargli una prospettiva di sviluppo legata non solo al modello industriale, che pure tra lo stabilimento siderurgico dell’ILVA e il polo dolciario costituito da Novi Elah, Pernigotti e Campari costituisce tuttora una parte rilevantissima dell’economia locale. Insomma, come si usa dire in questi casi, l’operazione ha nel suo insieme funzionato, nonostante le molte perplessità iniziali e l’intervento piuttosto pesante sul paesaggio, immediatamente a ridosso delle colline del Gavi. Radicalmente modificato, senza peraltro particolari agitazioni ambientaliste, distratte da altri bersagli.
Per molti anni, il gigante ha continuato a crescere vistosamente e ad attrarre crescenti attenzioni e invasioni gioiose di pullman, auto, e milioni di stranieri e italiani, lasciando sullo sfondo le questioni collegate alle condizioni lavorative di chi quell’enorme macchina fa funzionare. Bastava che il lavoro ci fosse e continuasse ad aumentare, in relazione all’aumento delle dimensioni del centro, per configurare un saldo largamente positivo. Rispetto a questo andamento lineare, lo stato di agitazione proclamato dalle organizzazioni sindacali per il weekend pasquale costituisce una vera e propria rottura del paradigma.
E pone una serie di importanti interrogativi a un partito come il Pd, e in particolare a chi, come Andrea Orlando, si propone di riportare al centro dell’iniziativa politica della sinistra riformista il tema del lavoro, non solo per quanto riguarda l’esigenza primaria di generare nuova occupazione, ma anche per connotarla con la crescita e il consolidamento di un sistema di diritti ancora tutto da costruire in molte delle realtà economiche “di frontiera” cresciute soprattutto nel campo dei servizi, in particolare commerciali. Le questioni in gioco sono molte e complesse: riguardano certo i temi classici, del salario e dei turni di lavoro, ma si allargano al tema della conciliazione tra tempo di lavoro e tempo di cura familiare, di significativo rilievo vista la prevalenza di donne nella forza-lavoro, della qualificazione delle competenze e delle prestazioni e, non ultima per importanza, della rappresentanza di diritti e interessi.
Non esistono scorciatoie e soluzioni a portata di mano. Ma non può essere che lì, nei luoghi in cui si formano le contraddizioni delle nuove dinamiche di sviluppo, e si manifestano, magari in modo ancora parziale e poco strutturato le nuove domande di diritti e tutele, il posto di un Partito Democratico che voglia tornare a svolgere la funzione per la quale è nato.
Daniele Borioli
Partito Democratico Alessandria