
di Pier L. Cavalchini
Idee chiare, sguardo diretto e sicuro, attenzione ai particolari e, per questa intervista, i “particolari” sono la scelta delle parole, gli atteggiamenti, le considerazioni – anche personali – sempre inserite sempre in un’ottica di squadra.
Andrea Massaro nasce nel 1983, ha stoffa ed esperienza da vendere, ha conosciuto (e pensiamo abbia ancora rapporti) importanti giocatori ed ex giocatori di serie A e B. Se avrete la pazienza di leggere quanto ci comunica, vedrete che citerà “cantere” importanti, quelle della Juventus, del Torino, dell’Atalanta. Come pure ricorderà partite epiche sostenute con i Leoncelli del Derthona, con i rossoneri della “Voghe” e i bianchi dell’Acqui. Ma il suo primo pensiero va alla Don Bosco, compagine mitica del Quartiere Cristo, mai come allora “città nella città”, con moltissimi giocatori pieni di entusiasmo e di capacità, a prescindere dalle fortune successive. Andrea è contento del percorso fatto, confida senza imbarazzo di aver provato una forte emozione nel primo match vissuto qui al Moccagatta (non più di un anno fa), con una Gradinata Nord sempre da brividi.
Parliamo prima di tutto un po’ di te Andrea: sappiamo che sei nato nel 1983, come è stato il tuo “innamoramento” per il calcio?
Risposta facile. Essendo del quartiere Cristo eravamo tutti abituati a frequentare l’oratorio Don Bosco. Si può davvero dire che di lì sono partiti tanti piccoli calciatori “in cerca di gloria”. Ho passato nove anni nel loro settore giovanile, poi ho visto che alcuni miei compagni si muovevano…. Qualcuno è andato al Torino, qualcun altro alla Juve, insomma ognuno cercava di farsi la sua strada. Dopo questi nove anni di apprendistato, vengo contattato dall’Alessandria U.S. per fare un provino e vengo preso dai Grigi di allora. Ci rimasi per tre anni, fino alla categoria Allievi nazionali. Il primo anno mi allenò Luigino Ferrari, il secondo invece fui preso in carico da Porcelli, mentre nel terzo anno ebbi la fortuna di avere un allenatore di eccezione: Gigi Manueli.
Quelli erano gli anni in cui dal settore giovanile dell’Alessandria sono usciti calciatori che hanno calcato, nella loro carriera, campi importanti, come ad esempio Valerio Bertotto ed Emiliano Maddè. L’apice si raggiunse quando, alla guida della formazione Berretti, conquistammo la partecipazione alla fase nazionale: anni speciali…
Infatti si è trattato di un salto di qualità per tutti noi. Proprio in quella fase della mia gioventù ho capito che poteva esserci un futuro per me come calciatore. E di lì a poco, appunto, fui chiamato al Derthona guidato da Simoniello. La categoria non era di primissimo piano (ricordo partite con il Castelnuovo Scrivia e il Libarna) e questo fatto mi colpì un po’, perché avevo passato periodi molto belli e importanti nelle giovanili del Torino, dell’Atalanta e della stessa Juventus. Un “sali e scendi” che mi disorientò non poco. Diciamo che in quella fase avevo la percezione di un “sogno che cominciava a svanire”, con l’impressione di avere un futuro limitato a squadre di serie inferiori.
Il periodo che ci stai raccontando dovrebbe essere all’inizio di questo secolo, poco dopo il Duemila, vero?
Esattamente. Infatti ricordo proprio il mio esordio a 17 anni in Interregionale grazie a Domenicali, che era il mister di allora del Derthona. Dal Duemila parte ufficialmente la mia carriera in prima squadra che poi proseguirà, oltre alla piazza di Tortona, a Voghera, Sale, eccetera.
Come ti sei trovato a Tortona in quegli anni? Tra l’altro con i Leoncelli in gran forma..
Tutto il ciclo di mister Domenicali fu caratterizzato da una buona squadra, con fiato e tecnica. Ci fu anche un confronto stretto con la Valenzana che terminò in modo non positivo (per il Derthona). L’anno dopo addirittura retrocedemmo dalla Serie D con un finale infuocato. I sostenitori di allora si arrabbiarono molto, soprattutto con la Società. Era l’anno in cui furono cambiati diversi Direttori Sportivi, e ci fu un turn over anche fra i giocatori. Il risultato fu pessimo. Addirittura vidi giocatori molto impressionati da quella situazione. Ci furono auto ammaccate a pugni, minacce, sputi ecc.
E dopo questi fatti che non vorremmo mai vedere, soprattutto in ambito sportivo, cosa successe?
L’anno successivo alla retrocessione subentrò Mario Benzi con la gestione presidenziale di Moro, con più organizzazione e migliore gestione dei giocatori. In quell’anno riuscimmo ad arrivare in finale di Coppa Italia, giocando a Pontassieve contro il Ladispoli. Di quella Coppa Italia ho bellissimi ricordi perché arrivai a segnare ben nove gol e, purtroppo, per una serie di motivi, ci sfuggì la vittoria finale. Tra l’altro, per quel che mi ricordo, nella finalissima il mister non mi fece giocare, anche perché avevo davanti a me giocatori già importanti come Chiellini, Chinelli e Visca. Di quella partita ho netta l’immagine di un gol regalato agli avversari per un rimpallo malefico. Poi ci negarono un rigore evidentissimo e il Ladispoli, comunque buonissima squadra della provincia di Roma, alla fine vinse.

Qual è stato il nuovo impatto con il Moccagatta nella stagione ormai alle spalle?
Il primo impatto è stato sicuramente “ad alta tensione”. Sono sempre stato abituato ad essere in piazze sportive anche belle e di qualità, come Tortona, Acqui, Voghera, ma essere al Moccagatta è un’altra cosa. Vedere la curva Nord praticamente piena in ogni posto, sentire il calore della gente, dei tifosi più coinvolti ma anche di quelli che “vengono a vedere”, magari non si fanno molto sentire, ma – lo sappiamo tutti – hanno competenze e capacità di valutare gioco e giocatori. Quindi sicuramente qualche brivido, e anche un po’ di timore per eventuali brutte figure.
E’ un timore che, almeno per quanto ti riguarda, non si è visto…anzi.
Invece c’era e attraversava un po’ tutta la squadra. I sostenitori dell’Alessandria venivano da un’estate piena di incognite, con problemi di ogni tipo, quindi osservavano con attenzione tutti i movimenti dei giocatori. Anche di più di quanto viene normalmente fatto. Il riallineamento tra squadra, dirigenza e sportivi alessandrini si è chiaramente avuto nel momento del “varo” della FC Alessandria. Da quel momento si è creata una alchimia particolare e questo legame forte tra pubblico e giocatori lo si è visto fino alla fine.
D’altra parte si tratta di un pubblico che ha totalizzato più di mille abbonamenti…
E che in una partita (quella del ritorno con il Casale ) ha superato largamente gli incassi di diversi club di serie B e C, raggiungendo la ragguardevole cifra di 4500 spettatori complessivi. Sicuramente avere il pubblico dalla propria parte è importante. Si tratta quasi di una “doppia armatura”, come una doppia spinta, che andava ad integrare e a sostenere quello che noi riuscivamo a fare in campo.
Un legame che è diventato ancora più forte dopo il 4 a 0 subito ad Alba ad una decina di giornate prima di fine stagione….
Eh sì. Siamo stati aspettati all’uscita dell’impianto albese, ci siamo chiariti e, tutti insieme abbiamo constatato una volta di più che tutte le squadre che abbiamo affrontato durante il campionato si sono impegnate allo spasimo contro di noi. Quando invece – in altre partite – erano molto meno combattive. C’era un po’ la corsa a mettersi in mostra perché affrontare i Grigi garantisce comunque visibilità.
Sono stato felice di questo epilogo d’anno, assolutamente positivo, perché – andando a rispondere alla parte di domanda sulle aspettative, alla mia età come giocatore non ho più molto da offrire. Sicuramente ho esperienza e quella la sto già impiegando con i giovanissimi della FC Alessandria nati nel 2013. Un gruppo che ho guidato fino a fine anno sportivo e che mi sta dando soddisfazioni.
Fai riferimento a crescita, impegno, soddisfazioni…in che senso?
Prima di tutto, se le informazioni e i suggerimenti vengono offerti nel modo migliore, i risultati si ottengono. Teniamo conto che spesso le “prime squadre” sono un po’ condizionate dal fatto che arrivano in rosa, a volte, giocatori con poche basi tecniche e tattiche. Ci vuole una cultura del lavoro, fatta da persone serie e preparate senza lasciare nulla al caso. E purtroppo non è sempre così. Ci vuole del sacrificio per raggiungere obiettivi concreti. Bisogna applicarsi, avere disponibilità di tempo, possibilità di approfondire le cose, dedicando alla “scienza sportiva” la stessa attenzione che viene richiesta nello studio approfondito o nel lavoro. Questi ragionamenti ci portano a ribadire la necessità di avere persone competenti nei livelli giovanili. Soprattutto ci vuole qualcuno che abbia avuto contatti continuativi con il calcio giocato, che abbia ben presente la necessità – nel calcio di oggi – di velocizzare i tempi di gioco, di avere la prontezza di riflessi che ti fa pensare alla giocata migliore da fare ancor prima di aver ricevuto il pallone.
E, infine, quali potrebbero essere i passi giusti per far tornare l’Alessandria ai livelli che le competono? Si parla, ad esempio, di un reincarico a mister Merlo. Cosa sta succedendo e cosa è corretto far sapere ai lettori?
Riguardo al mister, che ha fatto davvero un buon lavoro, mi sono permesso di suggerire al presidente della FC Alessandria di tenere conto dell’esperienza, delle conoscenze acquisite e della professionalità dimostrata da Merlo. Oltretutto con nuovi direttori sportivi e altre figure dello staff che potrebbero essere tentati di fare tabula rasa e ripartire con giocatori nuovi e tattiche totalmente nuove, avremo bisogno di continuità, di competenza, di rinforzi, non di allenatori di qualità e tanto meno di giocatori non in grado di fare gruppo.
L’intervista termina con una dichiarazione di appartenenza di Andrea a questo blasone e ai suoi colori. Ci tiene all’Alessandria, vuole che ci siano più sponsor a sostenerla e, soprattutto, che ci siano coperture finanziarie di sicura garanzia in modo che non sia più possibile il caos vissuto in questi ultimi anni.

