di Danilo Arona
Se leggete la parola Stran da qualche parte, metti su qualche sito che si occupa di narrativa un po’ fuori dai canoni, quelli siamo noi, i neogotici piemontesi. Non male come inizio, vero? Soprattutto se è palese un tentativo di interesse privato. Ma, insomma, gli Stran sono appunto tali, strani.
Bene, adesso smetto di scherzare mai i fatti sono proprio questi. Ovvero, i piemontesi che producono letteratura fantastica fanno gruppo e a loro modo propongono una consorteria di qualità e soprattutto “vendibile”. Volendo conoscerli alla veloce, dobbiamo partire dal “padrino” ufficiale, quell’instancabile ed erudito saggista che è Franco Pezzini (che ha firmato negli ultimi anni saggi fondamentali sul fantastico) e, a seguire in ordine casuale: Fabrizio Borgio, Christian Sartirana, Alessandro Defilippi, Maurizio Cometto, Davide Mana, Angelo Marenzana (quando non scrive di delitti in epoca passata), Cristiana Astori, Gigi Musolino, Stefano Priarone e me medesimo. Insomma, cognomi importanti e rimando a breve l’approfondimento del gioco di gruppo che, va da sé, propone due sole e semplici regole, la pertinenza del genere e l’ambientazione piemontese. Oggi mi occupo di Maurizio Cometto (nella foto) e della sua antologia Magniverne, che non è una raccolta a casaccio di racconti variegati, ma un percorso a tappe le une con le altre collegate dall’identico teatro narrativo, l’immaginario paese di Magniverne, inesistente ma posizionato in Piemonte.
Come sappiamo da tempo, il tema peculiare del borgo “maledetto” viene da lontano e caratterizza innumerevoli autori gotici e horror di ieri e di oggi in ogni parte del mondo. Cometto non fa eccezione e, per quel che riguarda gli Stran, si affianca alla Idrasca di Musolino, la Gramigna Nuova di Sartirana o l’Ubertoso di Borgio. Per non dire di una certa Castle Rock… Solo che Magniverne è ben più di un contenitore, ma una sorta di paese “vivente” che annovera persino un gemello vicinissimo in linea d’acqua, ed è il massimo che posso snocciolare per chi ancora non ha letto il libro. Magniverne consta di set “stazioni”, tutte quante caratterizzate da approcci all’inizio realistici che sfociano in modo graduale e non forzato in un’altra dimensione interconnessa a quella quotidiana. Tale duplicità del Reale è la cifra della narrativa di Maurizio, per la quale possiamo certo scomodare, restando in “casa”, Dino Buzzati, ma personalmente, se mi si concede l’iperbole, io chiamerei come parte in causa l’oscuro e immenso David Lynch.
Certo, gli accostamenti possono essere casuali, ma già l’ombra dell’artista americano aveva a parere mio impregnato le pagine dell’eccezionale romanzo a racconti Cambio di stagione del 2011, straordinario apologo di sopravvivenza in una Torino a dir poco “aliena”. Ora ci siamo allontanati dalla metropoli, ma il gotico rurale forse ancor meglio si presta a questo straniante gioco di sdoppiamenti, portali su altri mondi a un millimetro dal naso, case stregate, loca infesta e creature che neanche Lovecraft si sarebbe sognato. A Magniverne, che si specchia in un fiume malefico dal nome evocativo (Labironte), “si esita” spesso ma non volentieri davanti a un consanguineo, a un angolo in ombra della propria casa, su un sentiero dalla destinazione certa sino a un istante prima. A ricordarci la grande lezione sul primo, caratterizzante connotato del genere: la percezione adulterata.
Magniverne, come ogni altro prodotto degli Stran, è infine un’ulteriore dimostrazione di come una regione naturalmente “nera”, sia, citando Alessandro Defilippi[1], «una terra in cui pare di avvertire accanto a noi, se solo porgiamo l’orecchio, le voci delle Masche o la presenza di uno sconosciuto che ci guarda senza apparente ragione.» Quel Piemonte, ambiguo e maligno, dove tanti misteriosi paesi sono “anche” Magniverne. Tra i tanti Airasca, in zona di Pinerolo, che ha ispirato l’Idrasca di Musolino, e il cui nome significa “luogo ricco di acque affioranti”. Inutile ricordare che l’acqua, sotterranea o in superficie, è legata alla magia e all’energia corrente e che in certi posti gli stregoni, apprendisti e di lungo corso, sono tuttora presenti. Proprio come nel Labironte di Magniverne, il serpente acqueo che racchiude il più oscuro dei segreti.
[1] Alessandro Defilippi, Le radici del male, prefazione aNero Piemonte e Valle d’Aosta, Perrone, Roma 2009.