di Dario B. Caruso
Dopo due anni di pandemia ritorna la celebrazione del 2 giugno, Festa della Repubblica Italiana.
È certamente un’occasione lieta.
Pensare che il 2 giugno di settantasei anni fa si tenne il referendum che avrebbe sancito la fine della monarchia e l’inizio della Repubblica oggi fa un certo effetto.
Dico così senza intenzione retorica, con apprensione e afflizione per varie ragioni che vado brevemente a condividere qui innanzi.
Oggi.
Ci occupiamo attivamente di un solo conflitto sui trentaquattro che attualmente sconvolgono il pianeta.
Stiamo combattendo a fianco ad una nazione alle porte dell’Europa (l’Ucraina) contro una nazione (la Russia) con la quale da decenni intratteniamo rapporti di collaborazione e di scambi culturali e commerciali.
Siamo al fianco di una nazione monarchica (l’Inghilterra) che si è tirata fuori dall’Unione Europea.
Stiamo vicini ad una nazione (gli USA) che ci è lontana geograficamente e culturalmente mentre ci allontaniamo da nazioni (la Spagna, la Francia, la Germania) con le quali abbiamo molto in comune e sono confinanti.
Investiamo gran parte delle risorse in armi e strategie belliche dimenticando ospedali, scuole e welfare.
Riprendiamo sul nostro territorio esercitazioni militari che da anni non si effettuavano; riprendiamo anche le prove di tiro dei nostri soldati.
Ci abituiamo attraverso le immagini televisive e social a scene di distruzione, di bombardamenti, di città rase al suolo, di divise infangate, volti impauriti, madri straziate.
Chiediamo soldi attraverso le associazioni di beneficienza per i feriti di guerra, per le popolazioni derelitte, per le famiglie senza casa, per i bambini orfani, per le strutture di accoglienza dei profughi.
Questo accade oggi.
Fino al 2019 era gioioso assistere a Roma invasa da una folla festante fatta di bersaglieri e alpini, partigiani, crocerossine, vigili del fuoco, marinai, fanti e cavalleggeri, le Frecce Tricolori nei cieli.
Oggi, 2 giugno 2022, io non ho la medesima sensazione.
Il messaggio che percepisco è quello di una festa sbagliata, l’ostentazione di una nazione decadente che si fa forza delle debolezze altrui per non riconoscere le proprie.
È un mio limite, lo riconosco, quello di fermarmi e pensare.
Se sbaglio, allora non è sbagliata la festa.
Quello sbagliato sono io.