Alessandria ricorda i moti insurrezionali del 9 marzo 1821 [Lisòndria tra Tani e Burmia]

di Piero Archenti

Esattamente duecento anni fa, nella notte del 9 marzo 1821 all’interno della Cittadella di Alessandria (foto 1) scoppiano i moti insurrezionali che videro in Santorre di Santarosa uno dei principali protagonisti dei moti insurrezionali piemontesi volti all’introduzione di una monarchia costituzionale e alla guerra contro l’Austria. Infatti, nella notte del 9 marzo, Guglielmo Ansaldi, colonnello del reggimento Savoia, e il capitano Isidoro Palma di Borgofranco entrano nella Cittadella e convincono i soldati della brigata Genova ad ammutinarsi. Ai rivoltosi si aggiungono le unità di cavalleria dei Dragoni del re, provenienti dalla Gambarina Nuova (oggi piazza Vittorio Veneto), guidati dal capitano Luigi Baronis, insieme a una sessantina di civili armati.

All’alba del 10 marzo, tre (o quattro) colpi di cannoni annunciano il felice esito dell’impresa, e i patrioti issano sui bastioni della fortezza una bandiera tricolore. Un episodio fondamentale del Risorgimento italiano che il grande poeta Giosuè Carducci ha così celebrato nelle rime di Piemonte «Innanzi a tutti, o nobile Piemonte, quei che a Sfacteria dorme e in Alessandria diè a l’aure primo il tricolor, Santorre di Santarosa».(2) Da ricordare, a proposito della “battaglia di Sfacteria”, che nel 1825 l’isola fu attaccata dalle truppe egiziane che riuscirono ad avere la meglio della resistenza greca, in quell’occasione, morì uno dei capi della resistenza dell’isola, l’italiano Santorre di Santarosa.

Il vessillo non è ancora il tricolore tradizionale, «ma già ai colori della Carboneria (rosso, azzurro e nero) – quei colori della bandiera che fu sventolata nella rivoluzione democratica napoletana del 1799 – si erano sostituiti nuovi colori: e per la prima volta era comparso, al posto del nero, il verde» (Giovanni Spadolini, discorso in Cittadella del 10 marzo 1991). Tuttavia, non vi è accordo sui colori della bandiera. Il conte Santorre di Santarosa, uno dei principali protagonisti dei moti piemontesi, la ricorda rossa, verde e blu. Lo storico francese Alphonse de Beauchamp la descrive, invece, nera, rossa e blu. In ogni caso, lo studioso Giulio Massobrio fa notare che: «Il tricolore alessandrino non era quello, verde, bianco e rosso, che nel 1848 fu adottato dal Regno di Sardegna e che si richiamava idealmente alla bandiera della Repubblica Cisalpina del 1796».

La sorte dei cospiratori, i quali s’illusero di poter contare sull’appoggio del principe Carlo Alberto di Savoia (3) è però segnata. Nel volumetto Le lancette del Risorgimento, Piercarlo Fabbio mette in risalto il ruolo del nuovo sovrano sabaudo Carlo Felice, subentrato al fratello Vittorio Emanuele I, «per niente convinto della piega degli eventi, tanto meno della Monarchia Costituzionale. Il re si rivolge all’Austria e revoca tutte le guarentigie ai rivoluzionari. Alleato all’Austria, ingaggia battaglia nei pressi di Novara, ove i Federati, pur spalleggiati da alcuni reparti dell’esercito, vengono sconfitti».

L’11 aprile dello stesso anno le truppe austriache rioccupano la Cittadella e mettono sotto processo gli artefici della sommossa. Per evitare la condanna a morte, molti cospiratori, tra i quali Giovanni Appiani, Giovanni Dossena e Urbano Rattazzi (zio del futuro presidente del consiglio del Regno d’Italia), intraprendono la via dell’esilio.

Immagini:

1 Cittadella di Alessandria
2 Santorre Annibale Filippo Derossi più noto come Santorre di Santarosa
3 Principe Carlo Alberto di Savoia
4 Carlo Felice di Savoia fu re di Sardegna
5 Moti liberali si concludono l’11 aprile 1821

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I moti popolari del 1821 in Alessandria

Carducci scrivendo nel 1890 l’ode “Piemonte” non immaginava certo quante e quante volte i versi famosi: “Quei che a Sfacteria dorme e in Alessandria – Diè a l’aure primo il Tricolor, Santorre – Di Santarosa” avrebbero avuto l’onore della citazione.

Ma se Santorre fu il romantico e ardente animatore del moto liberale del 1821, chi di fatto alzò, la notte del 10 marzo, sugli spalti della nostra Cittadella, il tricolore, fu il Col. Ansaldi, capo in Alessandria della rivolta. Santarosa giunse nella nostra città soltanto il giorno 11 a cose fatte. L’annunzio alla cittadinanza della presa della fortezza, fu dato alle tre di notte con lo sparo del cannone che sorpresero nel bel mezzo del sonno il Governatore De Varax: “Viva la Costituzione e Guerra all’Austria” fu il grido degli insorti vittoriosi. Va però detto che il Governatore seppe tuttavia tenerli isolati per due giorni al di là del Tanaro, e che fu merito suo se non avvenne alcun spargimento di sangue; si racconta che, costretto il 12 marzo a lasciare la città, il De Varax si diresse a Torino col Reggimento Savoia rimastogli fedele, seguendo la strada di Oviglio, per evitare scontri cruenti.

In Alessandria frattanto veniva nominata una giunta provvisoria che come primo atto proclamava la Costituzione in nome di una Federazione Italiana. E’ noto che le speranze fondate su Carlo Alberto andarono presto deluse; obbedendo al nuovo re Carlo Felice (4), il tentennante principe riparava in Novara presso l’esercito regio e segnava così la sorte di quella prima vicenda liberale che, iniziata in Alessandria il 10 marzo, doveva proprio finire in questa città l’11 aprile (5) successivo Il moto era durato un mese soltanto e fu movimento essenzialmente militare; doveva cominciare a Torino e scoppiò prima in Alessandria dove più forte era la guarnigione e dove molti erano anche i cospiratori borghesi di cui si conservano i nomi: Dossena, Franzini, Appiani, luzzi, Vochieri, Cerutti, Bottacco, Rattazzi Urbano (protomedico), Rattazzi Alessandro, Guidetti, Fantoli, Zani e il tipografo Capriolo.
Nel Marzo del ’21 la guarnigione di Alessandria comprendeva due Brigate con un reggimento di dragoni, accasermate in S. Ignazio (S. Stefano), Gamberina Nuova (Scapaccino), S: Francesco (Ospedale Militare) e Cittadella; capi della rivolta furono i colonnelli Ansaldi e Regis.

In Piemonte due furono gli opposti centri maggiori: Alessandria, sede degli insorti, Novara, sede dell’esercito regio. Il giorno 8 aprile 5000 rivoluzionari di tutte le armi si portarono sotto le mura di Novara per tentare di guadagnare alla causa i soldati regi. Fatalmente nella stessa notte; varcato il Ticino, nella stessa direzione muoveva un corpo austriaco; l’incontro produsse sugli insorti un panico così forte da provocare una fuga precipitosa, tanto che il 10 aprile l’esercito regio poteva già occupare la cittadella di Torino.

Restava ancora Alessandria ben approvvigionata, dotata di molti cannoni e munita in previsione di una resistenza, di nuove difese esterne: governatore era lo stesso Ansaldi, comandante le truppe, il Collegno. Ma troppo fatale fu il colpo di Novara: Santarosa sfiduciato disse che “la cosa era ormai perduta” e del medesimo parere fu anche l’Ansaldi. Infatti nella notte sull’11 aprile decideva l’abbandono della Cittadella “di fronte al terror panico nelle truppe e nella popolazione”. Con queste parole ne dava l’annuncio alle cinque del mattino alla Municipalità di Alessandria: qualche ora dopo l’austriaco Gattemberg entrava in città e già l’indomani, 12 aprile, la Municipalità offriva simbolicamente le chiavi al generale Bubna, incontrato sul ponte Tanaro. Triste epilogo dei moti del 1821: peraltro il buon seme era gettato e nel 1848 già dava i suoi frutti.

Nel 1891 nell’atrio del nostro Municipio era murata a ricordo una lapide che diceva: – La notte del 9 marzo 1821 – Un manipolo di prodi – occupata la Cittadella di Alessandria – Iniziava – con profetico ardimento – i moti del Piemonte – e il tricolor vessillo – sventolava la prima volta – per l’indipendenza e la libertà d’Italia.

Piero Angiolini 07-03-1953