Zero [Il Flessibile]

di Dario B. Caruso

 

Degustare uno yogurt “zero grassi” è un’esperienza unica perché a quel punto degustare non è il termine corretto: non puoi degustare qualcosa che non ha sapore, non ha consistenza, ha densità indefinita.
Per questo motivo quando degustiamo uno yogurt “zero grassi” abbiamo l’impressione di non ingrassare.

Analoga sensazione – ma forse più fastidiosa – ingurgitando la coca cola “zero”. Dov’è finito quel gusto dirompente con cui da ragazzi innaffiavamo le pizzate? Due pizze e due lattine di coca cola. Oggi mi ci vorrebbero due confezioni di Gaviscon mentre allora tornavo a casa pimpante come un artista circense e carico come una molla, pronto a studiare musica e latino.

La lingua italiana ci tradisce.
Al ristorante.
Il ristoratore: “Signori, questo pesce non è a chilometro zero, è di più: è a centimetro zero!” e i commensali giù a ridere che non si capisce se ridono per l’ironia e la simpatia oppure per la stronzata proferita.
Eggià perché guadagnare zero euro oppure zero dollari non cambia la sostanza.

A scuola, gli insegnanti (anni fa, oggi sarebbero sui giornali e nelle aule di tribunale) ci minacciavano di affibbiarci uno zero qualora avessimo lasciato il foglio in bianco. Anzi peggio: uno zero spaccato perché zero non bastava, così terrorizzati da quello zero spaccato – che dava il senso di un vuoto carico di violenza – scrivevamo parole sconnesse piuttosto che lasciare il foglio tristemente candido.

Zero è un’illusione.
Zero è una bugiarda e ingannevole tentazione.
Il mondo non parte da zero. L’universo evolve da un brodo primordiale oppure da un pensiero divino ma non da zero.
Zero – mettiamocelo in testa – non esiste.

Oggi si parla di “zero emissioni”.
Fate i vostri conti.