Festival delle Medical Humanities: l’importanza della narrazione

Ecco perchè l'Ospedale di Alessandria merita di diventare IRCCS CorriereAlUn’intera giornata dedicata alla narrazione per il terzo appuntamento del Festival delle Medical Humanities “Iconografia della Salute”, intesa come strumento di cura sia per i pazienti sia per i curanti, come si evince dalle consolidate e numerose testimonianze che giungono dalla evidence based narrative. In particolare il focus dei numerosi interventi è stato la relazione tra la narrazione e la salute mentale, settore in sofferenza poiché la pandemia ha avuto un impatto pesante sulla sfera psichica degli individui.

La prima sessione, moderata da Luigi Bartoletti, Direttore del Dipartimento di Patologia delle Dipendenze dell’ASL AL, ha avuto come oggetto le dipendenze da sostanze e comportamenti: “L’essenza della dipendenza da sostanze psicoattive è quello di modificare lo stato di coscienza. – spiega in apertura – In tal senso non sono importanti solo i sistemi neurobiologici della ricompensa e gratificazione, ma anche l’esperienza soggettiva, cioè la forza che il desiderio ha nella storia di una persona. In questo senso la narrazione della propria storia, come rappresentazione delle credenze individuali e collettive, attraverso il linguaggio ricompone l’io dell’individuo sofferente”.

Questo processo può essere effettuato con l’aiuto del terapeuta in forma individuale o anche all’interno di gruppi, come ha illustrato Valeria Zavan, Medico tossicologo del Ser.T. e Responsabile del Servizio di Alcologia dell’ASL AL: “Un particolare esempio è costituito dall’esperienza nei gruppi di auto-mutuo aiuto che, attraverso un programma definito ma auto diretto, riformula la percezione di sé in rapporto agli altri e al contesto di vita, modificando vie cerebrali deputate alla memoria e all’integrazione di questa con i vissuti emotivi soggettivi. In questo modo viene restituita attraverso la narrazione di sé una immagine nuova e più integrata della persona stessa”. Si evince che la rappresentazione di sé e dell’altro passa necessariamente attraverso il linguaggio e le credenze che si vengono a formare e modificare ogni volta che si racconta o si ascolta una storia.

L’io comprende elementi funzionali molto diversi tra loro – afferma Stefano Canali, Responsabile del settore di Neurotica presso la Scuola Internazionale Superiore di Studi Avanzati SISSA Trieste e Coordinatore del Comitato Scientifico della Società Italiana Tossicodipendenze – e nel prendere decisioni è costretto a resistere agli impulsi. Quando una persona elabora una storia su di sé i circuiti impulsivi si disinnescano e si attivano quelli dell’autocontrollo, andando ad agire sulla regolazione e l’inibizione delle emozioni nonché sulla proiezione di sé nel tempo”. È stato poi evidenziato come l’assunzione di una sostanza porti con sé la storia di un comportamento: “L’alcol ad esempio viene spesso utilizzato come “farmaco” per perdere la memoria – ricorda Pietro Barbetta, Psicologo e Direttore del Centro Milanese di Terapia della Famiglia – per far sentire le persone a proprio agio in un determinato contesto e portarle così ad avere una relazione con gli altri per quanto distorta”.

Il focus del rapporto tra narrazione e salute mentale si è spostato poi dalle dipendenze alla contenzione con il pomeriggio moderato dalla psicoanalista Patrizia Santinon:Il senso del nostro incontro è quello di interrogare le nuove logiche dell’esclusione e le coercizioni implicite, evitando da un lato l’etnocentrismo professionale psichiatrico  e dall’altro la negazione istituzionalizzata propria dell’antipsichiatria. Mi pare che si debba poter guardare in modo laico alle questioni sollevate oggi intorno alla cura e alla coercizione perché ciascuno possa raccontarsi senza colpa e perché si possano trovare insieme, operatori pazienti e familiari, soluzioni praticabili in questo contesto. Non buone scuse ma buone pratiche”.

L’intervento di Luigi Gariglio, Sociologo, fotografo e Docente del Dipartimento di Cultura, Politica e Società dell’Università di Torino, ha sottolineato come la narrazione sia un utile strumento di presa di coscienza sia per gli operatori sia per i non addetti ai lavori: “Nelle interviste molti operatori appaiono come anestetizzati dal processo routinario e tacito dell’uso delle cinghie, comportamento che, con Stanley Cohen, può essere inteso nella dimensione della «normalizzazione» della pratica. Una normalizzazione che viene messa in discussione nel momento in cui si racconta, come durante l’intervista, contribuendo a rompere in questo modo la dimensione tacita della pratica e stimolando la riflessione dell’operatore, nonché favorendo la produzione di resoconti discorsivi che danno conto dei motivi di chi la adotta”. Dopo aver ascoltato, attraverso alcune videointerviste, le parole di chi pratica la contenzione e le motivazioni sottese, il dialogo ha assunto una dimensione visuale, andando a indagare la storia dei pazienti e delle architetture manicomiali che li hanno ospitati mediante la fotografia.

Sono un creativo per la salute mentale – afferma Giacomo Doni, fotografo impegnato nel recupero della memoria manicomiale italiana – mi occupo di trovare nuovi linguaggi di divulgazione e sensibilizzazione sul tema. Il filo conduttore delle storie di vita delle strutture manicomiali che racconto con le mie foto è la relazione tra personale e pazienti: mi piace pensare che siano incastri tra storie che possono generare qualcosa di straordinario e indimenticabile, invece di rimanere chiuse in un manicomio”.

Lo stesso sforzo, ovvero di far emergere storie particolari per non dimenticarle, contraddistingue anche Ilaria Leccardi, giornalista e fondatrice della Casa Editrice Capovolte: “Come editrice che si occupa di donne, in particolare donne resistenti e ribelli, ho trovato importante raccontare la storia di Cristina Contini, presidente dell’Associazione Nazionale Sentire le voci, nel libro “Una vita, due vite. Corso e percorso di voci” (Capovolte, 2019). Il Festival ci ha aiutato a mettere in connessione la storia di Cristina e il suo impegno al fianco delle persone che vivono un disagio psichico con altre storie spesso dimenticate. A partire dalle parole sofferenza e amore, abbiamo ribadito l’importanza dell’ascolto come elemento chiave per una responsabilità collettiva anche da parte di chi, come me, lavora nell’ambito culturale”. Le riflessioni sul ruolo e il valore del racconto come strumento da una parte di cura e dall’altra di memoria, si sono poi concretizzate nella storia di Andrea Soldi attraverso le parole della sorella Cristina Soldi e del giornalista RAI Matteo Spicuglia: “È sempre forte e importante parlare di salute mentale con le foto, con le testimonianze, con i libri. Questo è fare parlare i fragili, persone sensibili, intelligenti che combattono tutti i giorni con la parte fragile di loro. Io darò sempre voce a quello che è successo a mio fratello, Andrea Soldi, morto il 5 agosto del 2015 durante un TSO, nella speranza che non accada ad altri. Il suo diario e le sue lettere con il libro “Noi due siamo uno” di Matteo Spicuglia ha il desiderio di abbattere lo stigma sociale che si ha sulla malattia mentale, essere di aiuto a chi si occupa di salute mentale perché è Andrea a parlare sia ai fragili, perché sappiano che sono perle preziose da abbracciare nel loro dolore, sia alle loro famiglie, perché non si sentano sole”.

La giornata si è conclusa con la presentazione delle attività che l’Azienda Ospedaliera di Alessandria sta portando avanti nell’ambito della narrazione. Un tema molto caro che ha portato ad esempio alla IV edizione del Concorso letterario e iconografico di Medicina Narrativa “Racconto la mia Cura” e al nuovissimo progetto curato da Cristina Cenci di Digital Narrative Medicine, piattaforma digitale interamente pensata per lo sviluppo di progetti di telemedicina che integrano le metodologie della medicina narrativa. In particolare la sessione ha avuto un occhio di riguardo per l’approccio definito “curare i curanti”: “Spesso anche i curanti hanno bisogno di essere curati – sottolinea Alessandro Franceschini, Docente di Filosofia dell’uomo e della morale all’Istituto Superiore di Scienze Religiose “Fides et Ratio” de L’Aquila collegato alla Pontificia Università Lateranense – poiché a causa dello stress lavorativo possono sentirsi emotivamente esausti e non più capaci di provare empatia, fino ad arrivare al fenomeno del burnout. Ecco che allora ci vengono in aiuto le Medical Humanities che, tra le altre cose, forniscono nuovo significato al proprio lavoro, migliorano la comunicazione tra medico e paziente e all’interno del team e aumentano la consapevolezza”. Ed è proprio a partire da queste premesse che l’Ospedale di Alessandria da anni promuove corsi di formazione sulla Medicina Narrativa condotti da Antonio Pepoli, Dirigente Psicologo e Antonella Barbierato, Coordinatore infermieristico di Geriatria che hanno raccontato la loro esperienza con i colleghi, e ha attivato nel 2021 il progetto “Verba Curant” supportato da Compagnia di San Paolo e realizzato insieme alla Scuola Holden. “Non si tratta di corsi di scrittura e nemmeno di formazione – spiega Martino Gozzi, Direttore didattico presso Scuola Holden, Direttore didattico presso Scuola Holden – ma di un’occasione per riflettere sul potere delle storie che da sempre ci permettono di conoscere meglio noi stessi ed entrare in contatto con il mondo. Raccontare significare dare un nome alle nostre emozioni, è un’educazione all’empatia: durante gli incontri proponiamo quindi agli operatori sanitari di ragionare su alcune storie per poi provare a scriverne di nuove a partire dalla loro esperienza personale”.