Il ricercatore Bertino: “Potremmo essere ad una svolta nella ricerca di una cura per il mesotelioma”

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Dalla iniziale collaborazione alla piena operatività all’interno dell’azienda ospedaliera di Alessandria. Pietro Bertino, classe 1976, alessandrino, già professore associato della scuola di Medicina dell’università delle Hawaii e ricercatore di spicco nel campo del mesotelioma, è ottimista perché le condizioni della ricerca sono quelle che considera ottimali per la messa a punto di una terapia.

La svolta è rappresentata da un anticorpo capace di legarsi in modo specifico alla galectina 9, una molecola ancora poco studiata, e agire sui macrofagi. I primi studi sugli effetti terapeutici hanno evidenziato questa potenziale capacità sulle cellule di mesotelioma, insieme a quella di svolgere un ruolo positivo anche sul sistema immunitario nell’attaccare ed eliminare le cellule tumorali. Il progetto di ricerca è stato sviluppato insieme alla Weill Cornell Medicine, unità di ricerca biomedica e scuola medica della Cornell University di New York. In Italia la collaborazione messe in campo sono con l’ospedale San Martino di Genova e l’istituto Ramazzini di Bologna.

La nuova terapia è stata provata finora sui topi, dimostrando che può funzionare la tecnica che modifica l’anticorpo e lo rende utilizzabile sull’uomo. Adesso è il momento del passo successivo, possibile solo grazie alla disponibilità di tessuti di pazienti malati di mesotelioma. Ecco perché il ritorno in Italia, rispetto alla quale ha giocato un ruolo strategico la vicinanza della biobanca biologica del mesotelioma dell’azienda ospedaliera di Alessandria, entrata nella rete nazionale dell’Infrastruttura di Ricerca Europea delle Biobanche e delle Risorse Biomolecolari (il Centro raccolta materiale biologico, diretto da Roberta Libener, opera nell’ambito della Infrastruttura ricerca formazione innovazione che fa capo al Dipartimento Attività Integrate Ricerca Innovazione (Dairi), diretto da Antonio Maconi, e che è la struttura di riferimento dell’attività di ricerca di Bertino).

A che punto è il progetto? «Siamo pronti per il passo successivo. Su topi ‘umanizzati’, cioè su cui si interviene geneticamente, verranno impiantati nel peritoneo dei tessuti dei pazienti malati di mesotelioma che comprendono anche le informazioni del sistema immunitario. Obiettivo è lo sviluppo dell’anticorpo da usare nell’uomo. Al termine del processo inizierà la fase dei trial clinici per la cura su pazienti dell’ospedale alessandrino. Il modello scientifico che stiamo mettendo a punto è unico perché nessun altro può avere a disposizione un numero alto di pazienti. Questo si traduce in un vantaggio competitivo, ma il modello potrà essere utilizzato per sviluppare in futuro altre terapie. In questo senso il riconoscimento di Irccs (Istituto di ricovero e cura a carattere scientifico) rappresenterà un balzo in avanti per tutta la ricerca sul mesotelioma e le patologie ambientali».

Mesotelioma, ma non solo per Pietro Bertino. «Vero. Sono impegnato sulla gestione della ricerca preclinica e sullo sviluppo di nuove terapie per altre patologie. Con il Disit (Dipartimento di scienze e innovazione tecnologica diretto da Leonardo Marchese) dell’Università del Piemonte Orientale siamo al lavoro per fare nascere un laboratorio di medicina traslazionale, mentre con i professori Giuseppe Matullo e Irma Dianziani, rispettivamente dell’Università di Torino e del Piemonte Orientale la collaborazione si svilupperà sul fronte della interazione fra i geni e l’ambiente, in particolare del gene FKBP5 e le sue alterazioni».