di Piero Archenti
Era il 1174, quando Federico V di Svevia, detto il Barbarossa (1122 – 1190), radunò per la quinta volta un grosso esercito e scese in Italia. Cominciò la sua campagna nel settembre dello stesso anno scendendo in Italia e distruggendo Susa, ribelle a Umberto III di Savoia e poi prese Asti, Alba, Acqui, Pavia e Como. Non gli riuscì, tuttavia, l’assedio di Alessandria che resistette agli attacchi per sei mesi, usando stratagemmi quali il fuoco greco, (una miscela incendiaria che oggi sappiamo essere composta da nafta/pece, zolfo, salnitro e calce viva).
A proposito della leggenda riguardo le mura galleggianti, perché di questo si tratta, questa è scaturita dalla penna di Jacopo Fo il quale, parlando di “mura”, racconta che si trattava di una città molto particolare, infatti, le mura di cinta sarebbero state costituite da finte mura di legno collocate per la maggior parte su barche colme di blocchi di calce viva che, al contatto dell’acqua iniziarono a sciogliersi costringendo l’esercito di Federico a combattere in una palude insidiosa che inghiottì buona parte dell’esercito di Barbarossa.
In quello stesso ottobre del 1174, nasce la leggenda di San Pietro, vale a dire l’inizio dell’assedio di Alessandria condotto dal Barbarossa e concluso l’anno dopo ossia nella notte fra il Sabato Santo , e la Domenica delle Palme del (14 e 15 aprile 1175) racconta il Ghilini, Barbarossa tentò nella notte di sorprendere gli alessandrini, il trambusto che ne derivò li risvegliò e videro risplendente nel cielo l’immagine di S. Pietro che regge con la sinistra due chiavi e con la destra una spada (Le chiavi per aprire il Regno dei Cieli e la spada per combattere il Male).
Come si svolse il fatto è raccontato nell’articolo scritto dal nostro Piero Angiolini e pubblicato qui sotto. Le esatte circostanze della morte di Federico avvenuta nel 1190 nel fiume Goksu, a sud della Turchia, sono sconosciute ma il fiume è noto fin dall’antichità per le sue acque gelide tanto che nel 334 a.C. per poco non vi rimase vittima di una crisi vagale (sindrome causata dal nervo vago) persino Alessandro Magno. Tuttavia è ipotizzabile che l’anziano imperatore sia stato disarcionato da cavallo, oppure che, stanco della marcia attraverso i monti e oppresso dalla calura, tolta la pesante armatura, abbia voluto rinfrescarsi e lo shock dovuto all’acqua fredda gli abbia causato un arresto cardiaco,
La morte di Federico gettò il suo esercito nel caos. Senza comandante, in preda al panico e attaccati da tutti i lati dai turchi, molti tedeschi furono uccisi o disertarono. Il figlio di Barbarossa, Federico VI di Svevia, proseguì con i soldati rimasti, con l’obiettivo di dare sepoltura all’imperatore a Gerusalemme, ma gli sforzi per conservare il cadavere utilizzando l’aceto fallirono. Quindi le spoglie di Federico Barbarossa furono seppellite nella chiesa di San Pietro in Antiochia di Siria Antiochia, le ossa nella cattedrale di Tiro e il cuore e gli organi interni a Tarso. Solo 5.000 soldati, una piccola frazione delle forze iniziali, arrivarono ad Acri, verso la fine del 1190. Nell’assedio di San Giovanni d’Acri, nel 1191, perse la vita anche il figlio Federico VI.
Impossibile evitare un parallelo fra quanto accade oggi nel Medio Oriente da lungo tempo. Infatti è di questi giorni la notizia del ritiro degli eserciti inviati in Afghanistan da Stati Uniti ed Europa da vent’anni a questa parte con l’obiettivo di addestrare truppe locali che oggi si arrendono in massa. L’eroismo e l’orgoglio descritto anche dai militari italiani, che li hanno addestrati e combattuto al loro fianco, si sta dissolvendo: “Non sanno per cosa devono lottare e in chi credere” spiega un veterano delle missioni in Afghanistan. Una crisi che mostra tutta la fragilità di quello che gli Stati Uniti e i loro alleati, Italia inclusa, hanno realizzato negli ultimi vent’anni.
Alla domanda dei motivi dell’intervento in Afghanistan, da parte degli Stati Uniti, primi ispiratori di quell’intervento, dobbiamo ritornare indietro di vent’anni e comprendere la posizione degli Stati Uniti, in quanto primi sostenitori di questo intervento da parte della comunità internazionale in Afghanistan dopo gli attacchi alle torri gemelle del 11 settembre 2001 sul territorio americano.
Leggenda di San Pietro
Intorno all’assedio famoso di Federico I, iniziato il 29 ottobre 1174 e cessato sei mesi dopo con la fuga del Barbarossa “dai mal tentati valli di Alessandria” (così scrisse Carducci), fiorirono talune leggende tra le quali notissima, quella di Gagliaudo, che ritorna a noi ogni Carnevale. La continua ricorrenza di questa popolare leggenda, ha fatto del tutto dimenticare un altro leggendario episodio del duro assedio, non meno interessante e significativo per il suo carattere soprannaturale: la leggenda di San Pietro.
Sappiamo che appena costituita Alessandria con la riunione dei quattro borghi, ciascuno divenuto distinto quartiere della nuova città, gli alessandrini fecero costruire nel 1170 un Tempio Maggiore per riunire anche religiosamente le genti dei quattro quartieri: di comune accordo la Cattedrale fu dedicata a S. Pietro. Ecco perché sul frontale del nostro Duomo tutt’ora si legge la dicitura a grandi caratteri “Apostolorum Principi”.
Nel 1174 venne l’assedio condotto da Federico Imperatore e in proposito l’annalista Ghilini racconta che i comuni della Lega Lombarda per aiutare gli alessandrini, inviarono un esercito che inspiegabilmente rimase inattivo nei pressi di Voghera. La Domenica delle Palme del 1175 si mosse finalmente avvicinandosi a Tortona e quel movimento mise in allarme il Barbarossa che decise di farla finita con l’assedio, ricorrendo all’inganno!
Per la ricorrenza della Pasqua offrì infatti una breve tregua da dedicare alla grande Festività, tregua che gli stremati alessandrini accettarono fidenti per il riposo che ne derivava. Avvenne invece che nella notte sul Sabato Santo, 14 aprile 1175, il Barbarossa mancando al patto, scelti i suoi migliori uomini, tentò di sorpresa un assalto che doveva portarlo nel bel centro della dormiente piazzaforte.
Ed ecco il miracolo secondo il Ghilini: l’improvvisa impresa bruscamente risvegliò gli alessandrini nel cuore della notte e riprese le armi, tutti accorrono sul luogo della grave minaccia. Giunti sul bastione già sconvolto vedono sospeso nel cielo un gran vecchio, tutto risplendente e mitrato: con la mano sinistra regge due chiavi, con la destra regge una spada minacciando di morte gli assalitori che presi da spavento non osavano avanzare! Quel vecchio era S. Pietro, Patrono della Cattedrale. A quella vista miracolosa, gli alessandrini rincuorati, si gettano con impeto tremendo sui cavalieri tedeschi e ne fanno strage. L’indomani il Barbarossa umiliato e sconfitto, abbandona l’assedio ritirandosi in quel di Occimiano per riparare poi, indisturbato dai Collegati, nella città amica di Pavia.
E’ facile immaginare come questa leggenda sia sorta: diversi sono i cronisti che parlano dell’assalto ultimo e del tradimento; fra tutti gli assalti fu certo il più forte e il più pauroso. L’averlo respinto fu per gli alessandrini impresa veramente “miracolosa” espressione tutt’ora in uso presso il nostro buon popolo per i fatti a carattere straordinario. La recente devota scelta di S. Pietro a Patrono della Cattedrale fece sicuramente risalire a questo Santo tanta protezione: la fantasia popolare ha poi creata la leggenda passata alla storia. Sappiamo ancora che ogni anno, nel giorno di S. Pietro, veniva esposto in Duomo un gran quadro che ricordava il “miracoloso” episodio del 1175.
Il dipinto andò poi perduto nei restauri eseguiti alla Cattedrale nel 1876 e l’usanza venne così a cessare. Tuttavia un ricordo rimane tuttora nella Chiesa di S. Alessandro dove sull’alto della navata centrale figura in un grande affresco, opera del Gambini, la leggenda di San Pietro.
Piero Angiolini 12-02-1955