Mambo italiana di Stefano Priarone [ALlibri]

a cura di Angelo Marenzana

 

Ospite di questo nuovo appuntamento domenicale con ALlibri è Stefano Priarone, ovadese e giornalista, impegnato soprattutto (ma non solo) a scrivere della cosiddetta cultura pop (fumetti, serie tv, film e romanzi di genere) in primis su La Stampa, Il Foglio, Fumo di China. Dei suoi libri finora usciti il preferito è Nerd Power (Tunuè), attenta analisi del mondo nerd al quale è fiero di appartenere. Ma a volte scrive anche fiction: storie a fumetti (per La Lettura, Zagor, Martin Mystère) o racconti. Come quello presentato questa domenica, Mambo italiana, capace di spingere il lettore fra le oscure presenze di un ospedale locale.

“Lei non dovrebbe essere qui.”

Non avete mai conosciuto il Potere, il vero Potere se non avete incontrato Marta Martani.

Nel mio caso, ne avrei fatto volentieri a meno.

Marta Martani, anzi “la Signorina Marta” come qui la chiamano tutti con tono deferente e ossequioso, è la caposala (meglio: la Caposala) dell’ospedale dove sono ricoverata da alcuni giorni.

“E invece sì” replico. “Dopo troppe notti in una brandina al pronto soccorso mi avevate finalmente trovato un posto letto, ma era nel reparto degli uomini, è stato un evidente errore. Meno male che poi il Dottor Barisione mi ha cambiato stanza e adesso sono in una singola, dalle donne.”

“Il Dottor Barisione avrebbe fatto meglio a stare al suo posto. Se la avevano messa nella stanza 237 ci sarà stato un motivo.”

“Si è trattato di un errore, le ripeto. Hanno messo una ragazza nel reparto degli uomini.”

“Ragazza? Qui leggo Samantha Siccardi, 34 anni. Alla sua età non si è più ragazze.”

Certo, ai tuoi tempi probabilmente a sedici anni eri già cadente e inquartata come adesso.

Ma quali erano i tempi della Martani? Ha un’età indefinibile, sui sessanta-sessantacinque (qual è l’età pensionabile delle caposala?). Forse è solo una cinquantenne, ma una cinquantenne degli anni Cinquanta.

Quando l’ho vista per la prima volta ho pensato subito a  quello che avrebbe detto  il fratello di Ric con le sue citazioni da nerd.

È Kathy Bates in Misery.

Non le assomiglia poi tantissimo, ma il modo di fare autoritario, l’aria da bruttona stagionata ma al tempo stesso senza età, la ricordano di certo.

Ma qui il mio nerdoso (per lui non è un insulto) cognato non c’è, non c’è neanche Riccardo, il mio fidanzato, e neppure i miei genitori. Nell’era del Coronavirus se sei ricoverata in ospedale, nessun familiare ti può venire  trovare. Sei sola, alla mercé della Caposala,  e nel mio caso corri pure il rischio di passare la notte nel reparto dei vecchi, che ululano come morti viventi.

“Vedo che la dimettono già domani, come mai?”

“Mi hanno osservata in posti che non sapevo neppure di avere, e sono sempre risultata negativa.”

“Guardi che non è un buon segno se non sappiamo cos’abbia. Magari questa potrebbe essere davvero la sua ultima notte. Ma non come vorrebbe lei.”

E se ne va, con un bel sorrisone alla Himmler.

Spero davvero di non vederla mai più. Ma non nel senso che intende lei. Mi hanno diagnosticato una pancreatite, dicono che venga agli alcolizzati, io il mio massimo di trasgressione lo faccio quando bevo acqua minerale naturale da frigo, non a temperatura ambiente come al solito.

Cerco di dormire, ma non è facile. Non lo era neppure le notti precedenti, in teoria adesso dovrei poter riposare meglio, sono in una stanza tutta per me. Volendo, potrei persino vedere il Grande Fratello Vip. Nella vita di prima (vicina ma al tempo stesso lontanissima) mi divertivo a sfottere le mie amiche che ne erano appassionate (e pure mia mamma), anche se un po’ lo guardavo pure io (un guilty pleasure, come le torte della madre di Ric). Adesso mi sembra il ricordo di un mondo perduto.

Tanti sconosciuti in una casa, senza mascherine, che fra baci, abbracci e scopicchiamenti se ne fregano altamente di mantenere le distanze. Un altro mondo davvero.

Ma è da un anno che ho l’impressione di essere finita in una dimensione parallela, nella quale la realtà come la conoscevo non esiste più e valgono le regole di quei b-movie di horror e fantascienza che piacciono tanto al fratello di Ric.

E poi ci sono le parole della tipa sbucata da un vecchio film (“tratto da un romanzo di Stephen King” aggiungerebbe il cognatino).

Cosa intendeva dire la Martani? Era una considerazione sarcastica oppure una minaccia mica tanto velata?

Il fatto stesso che una così sia la caposala rafforza la mia teoria sulla dimensione parallela.

Alla fine dormo, mi addormento con l’immagine della Caposala diventata una maschera ghignante. Sono nella mia camera da letto a casa. Ma sento una presenza incombente, una presenza maligna, venuta da lontano e al tempo stesso vicinissima. Cerco di accendere la luce ma non ci riesco. Lampadine bruciate? O qualcosa di molto più terribile? E intanto la presenza (meglio: la Presenza) si avvicina.

Ma svanisce. Mi svegliano gli ululati delle mie notti precedenti.

Sono tornati, ancora più forti, come richiami oscuri.

Eppure adesso dovrei essere lontana dalla zona vecchiardi.

Adesso però sento anche dei passi. Sempre più vicini, ma lenti, strascicati. Provo ad accendere la luce del cellulare e lo vedo.

Attenta che lo dobbiamo pagare per vivo!

Me lo aveva detto mio padre quando mi faceva lezione di guida ormai tanti anni fa (non esageriamo, non voglio dare ragione alla Martani). Stavo per investire un bacanotto che camminava in mezzo alla strada, lentamente, a piccolissimi passi, sembrava mezzo morto, se non totalmente morto come era scappato di dire a mio padre, proprio come uno…

“Zombi! Un vero zombi, non come i morti viventi dei film e della serie tv. È un vero zombi, di quelli che solo gente come noi sa fare.”

È la Martani. Ha acceso la luce nella mia stanza. Si trova lì insieme a tanti ricoverati, tutti con la stessa andatura caracollante, tutti che impugnano dei lunghi coltelli. O così sembra.

“Gli zombi di Haiti hanno i machete, i nostri usano la maràssa (la roncola, se vuoi dirlo in italiano). Ma stai tranquilla, non la useranno su di te.”

Perché questo non mi rassicura? E non è soltanto perché è passata dal lei al tu.

“Sarebbe stato più facile sacrificarti se fossi stata ancora nel reparto uomini. Un infarto da ragazzina (pardon donna) viziata che non sopporta di stare con gli anziani. O forse il solito Covid (un tampone positivo lo si trova sempre).

Ma faremo in un altro modo: con il vudù basta anche solo bruciare una bambola.

E non ne ho nemmeno dovuto costruire una, ho preso una Barbie, ti assomiglia.”

“Il vudù?”

“Non usare quel tono razzista, sembri Ibrahimovic quando ha insultato Lukaku per i riti vudù della sua mamma. L’antica religione di Haiti è un concentrato di antica  saggezza, Ibra meriterebbe la morte per gli insulti a Lukaku. E non è detto che la riceva. Pure Lukaku deve essere punito, si vergognava di sua mamma.”

“Ma di cosa stai parlando?”

“Mostrami rispetto, troietta! Dammi del lei. Mi sa che non segui il calcio, vero?”

“Preferisco il tennis. Sono molto orgogliosa della pallina che mi ha autografato Federer a Montecarlo.”

“Federer! Che donnetta banale! Un vero appassionato segue i tennisti di nicchia  ma di talento come Benoit Paire. Sono ancora più contenta di sacrificarti!”

“Paire? Quello sfigato francese che fa un bel punto ogni dieci errori clamorosi tanto che lo chiamano Perdè?”

“Vincere non è l’unica cosa che conta come pensate voi juventini (perché non puoi che essere juventina, chi non capisce un cazzo di calcio è juventino)! Taci o ti uccido adesso senza completare il rito!”

Non so se sia più surreale essere circondata da zombi o nello stesso momento parlare di sport.

E intanto la Martani  si sta accendendo una sigaretta in un ospedale. Ma non è la cosa più illegale che fa.

“Ho scoperto il vudù e mi ha liberato la mente. In ospedale tutti riconoscono il mio potere ma fuori la gente mi ignora. Persino su Tinder, ricettacolo dei maschi più sfigati, non ci provano! Sono troppo intelligente, troppo superiore per loro!”

Ma il vudù mi ha illuminata, mi ha resa in grado di sviluppare il mio vero potenziale.

Studiandolo, sono riuscita a far tornare in vita (dopo averne accorciato l’esistenza) alcuni pazienti, adesso al mio servizio. Sono una mambo, una sacerdotessa del vudù.”

“Sei una… mambo italiana?”

“Esattamente!”

Non posso fare a meno di farlo.

“Ehi mambo, mambo italiana, ehi mambo, mambo italiana.

No, no, no, non è solo siciliana, non è calabrese, forse è una mambo piemontese. Ehi mambo, mambo italiana!”

Forse mettersi a cantare una vecchia canzone famosa sfottendo una sacerdotessa del vudù che ti vuole sacrificare può non sembrare molto adatto alle circostanze, ma, credetemi, non riuscivo a resistere.

“Taci, impudente! Stanotte ti sacrificherò ai Loa, gli spiriti di Haiti, e con il loro favore e i miei zombi il mio potere sarà inarrestabile. Nessuno spargimento di sangue, come ti dicevo: darò fuoco a questa Barbie in cui ho messo un po’ di sangue che ti hanno prelevato e qualche tuo capello. E bruciando la bambola brucerai anche tu.

Nelle città piegate dalla paura del Coronavirus tutti si inchineranno alla Caposala! Specie le sciacquette come te. Sarò suprema!”

Dice che vincere non conta e poi vuole conquistare il mondo, evviva la coerenza.

“Cara mambo italiana, più che suprema, mi sembri una totale squinternata.”

“Lo affermi perché in realtà odi le donne forti e carismatiche come me, sei una schiava del patriarcato! Guarda il mio potere!”

Mostra agli zombi un’orrida bambola che vagamente le assomiglia (dovrebbero usarla per fare un funko pop della tipa di Misery)  tutti i morti viventi si prostrano a lei.

“Chi osa criticarmi, in realtà detesta tutte le donne. Ecco la mia rivincita sul patriarcato!”

“Guarda che noi donne, proprio come gli uomini, non siamo una Unimente! Se critichi Hitler mica critichi tutti gli uomini!”

“La solita reductio ad Hitlerum di chi non ha nessun argomento. Le tue ultime parole sono delle orride banalità come la tua inutile vita, bagascetta!”

 

Mentre parla mi viene in mente che c’è comunque un lato positivo se sei finita in un universo horror diverso dalla tua solita realtà. Le regole. Ci sono sempre delle regole.

Il fratello di Ric una volta si era lanciato in un discorso sulla differenza fra zombi haitiani e morti viventi stile film di Romero o The Walking Dead.

“Vi siete mai chiesti perché i secondi ogni volta conquistano il mondo mentre Haiti è sempre rimasto un posto sfigatissimo?”

In genere fingiamo di ascoltare e poi lo stoppiamo. Ma qualcosa l’avevo capito.

 

Ragazzi, non fate come me: fumate!

Magari vi verrà un cancro ai polmoni, ma se dovrete combattere una strega del vudù sarete preparati.

Alzarmi dal letto non è stato facile, ma la mambo italiana non se lo aspettava, mi credeva più debole. E non si aspettava nemmeno che io le strappassi l’accendino e la bambola con le sue fattezze. Ma adesso ti devi accendere, cazzo!

La bambola alla fine brucia.

E la bagascia (si fa per dire, eh, il vero motivo per cui ha creato gli zombi era senz’altro per avere qualcuno che se finalmente se la potesse soddisfare sessualmente) inizia a bruciare anche lei, lanciando urla belluine.

Fermare un’orda di morti viventi romeriani è quasi impossibile, devi sparar loro in testa a uno a uno, per distruggere un esercito di zombi invece basta uccidere il sacerdote del vudù che li ha creati. Grazie cognato!

Raccolgo la Barbie (quella non si deve bruciare) e, passo dopo passo, riesco a uscire  dall’ospedale. Non vedo altri infermieri (li avranno sistemati gli zombi?). Rivedo le stelle, sono Dante fuori dall’inferno.

 

Come direbbe il fratello di Ric, sono la Final Girl, la sopravvissuta dei film horror.

Anzi, non la Final Girl, per la Martani non sono più una ragazza.

 

Mi guardo intorno, sento le sirene dei pompieri. Sono salva.

 

Sono la Final Lady, stronza!