Parise (Il Gabbiano): “Le case di riposo di domani? Non strutture sanitarie in cui morire, ma vere case in cui vivere. Da Asl Alessandria, da troppi anni, contributi alle famiglie inferiori al resto del Piemonte: perché?”

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di Ettore Grassano

 

“Situazioni come questa, con la classica tempesta perfetta, consentono e impongono un cambio di paradigma. E’ l’occasione per una svolta fondamentale insomma: certo dipende verso quale direzione svolti, ed è qui che vedo un po’ di confusione, e serve un input chiaro da parte del decisore pubblico: Stato e Regione”.

La nostra prima intervista a Corrado Parise risale a dieci anni fa, e rileggerla oggi dà veramente la misura del tempo che passa.

Non che oggi il Presidente del Gabbiano abbia smesso di appassionarsi di politica, anzi: semmai ha alzato il tiro, e gli piace analizzare scenari più ampi, e soprattutto discutere, tra disincanto ed ironia (“ma sempre con un fondo di speranza”) della trasformazione di un sistema di valori che pare pienamente in corso.

Ma in questa chiacchierata lo incontriamo, appunto, nella sua veste professionale più stretta: alla guida del Gabbiano, una delle realtà più innovative e dinamiche del settore sociosanitario della nostra provincia, Parise ha dovuto nell’ultimo anno confrontarsi, in prima linea, con la pandemia all’interno delle strutture di riposo, ma anche e forse soprattutto con l’emergenza economico-finanziaria conseguenza del Covid-19, tuttora in corso. Cosa succederà in questo 2021? Cosa serve davvero al terzo settore per strutturarsi ad affrontare non solo la nuova fase della pandemia, ma anche il futuro di tutto il comparto?

 

Presidente Parise, partiamo da una fotografia del Gabbiano, oggi…
Mi faccia prima dire una cosa fondamentale: vaccinatevi, vaccinatevi, vaccinatevi. Vale per tutti gli italiani, ovviamente. Ma per chi lavora nel nostro settore è davvero fondamentale. Rimane, sia chiaro, in ultima analisi una scelta individuale. Ma per operatori che lavorano a stretto contatto con persone da assistere, che siano anziani o disabili, il senso di responsabilità deve prevalere su tutto. Non voglio neanche entrare negli aspetti legali e contrattuali: nel senso che, se il medico del lavoro ritiene che il lavoratore, in quanto non vaccinato, non può assolvere i suoi compiti, l’azienda può e deve destinarlo ad altro, anche demansionandolo. Ma non sempre in molte realtà ci sono, queste altre attività da svolgere…

Insomma, chi non si vaccina potrebbe anche essere licenziato?
Non lo so, non ci voglio neanche pensare. Mi auguro davvero che, nel nostro settore, prevalga in tutti il senso dell’etica, del dovere, della responsabilità verso gli altri. Ad oggi posso dirle che sacche di resistenza ce ne sono, e si va a ‘macchia di leopardo’: ci sono realtà che hanno un’adesione al vaccino al 98% (fatti salvi coloro che non possono vaccinarsi per motivi di salute certificati, naturalmente), altre in cui non si raggiunge il 50%: e lo ritengo davvero grave.

Lei si è vaccinato?
Certamente, nei giorni scorsi, e ai primi di febbraio procederò con il richiamo.

Torniamo alla ‘fotografia’ del Gabbiano: chi siete, oggi?
Siamo una cooperativa sociale, che attualmente gestisce cinque case di riposo in provincia di Alessandria e una in provincia di Genova, a Busalla. Ma ricordiamo i nostri servizi più storici e importanti, ancorché poco conosciuti e spesso mal raccontati dai media: le due comunità per minori che accolgono ragazzi, anche ragazzi che hanno commesso reati, i cui progetti di crescita hanno risultati bellissimi e degni di maggiore attenzione. Importante realtà ad Alessandria la comunità Rosanna Benzi di piazzetta Bini, per persone con disabilità gravi e croniche. Oltre naturalmente ai servizi sociosanitari a domicilio per anziani, e quelli socio-educativi territoriali per minorenni e famiglie che attraversano momenti di difficoltà, come le separazioni conflittuali. Conserviamo un approccio che si è smarrito, innanzitutto nei ceti dirigente e intellettuale: i problemi e le sofferenze delle persone hanno sempre cause e concause sociali, non arrivano dalla mancanza di volontà o dalla ‘cattiveria’ delle persone.

Come avete vissuto il drammatico 2020 che ci siamo lasciati alle spalle?
Con tutta l’abnegazione e la lucidità possibili, cercando di non farci travolgere, e di mettere gli ospiti delle nostre strutture al centro di tutto. Ma vorrei guardare a tutto il comparto, non al Gabbiano. Per mesi siamo passati per untori e responsabili, quando in realtà siamo stati le vittime sia del virus in sé sia della scarsa organizzazione del sistema, dell’incapacità di reagire, a tratti. Non ho in mano dati ufficiali, ma i malati di covid, nelle case di riposo, sono stati in taluni casi il 30% dei degenti, in altri addirittura più del 90%. Questo naturalmente ha comportato uno sforzo, sul piano della gestione, davvero sovrumano. In questi casi è facile andare a cercare il singolo caso di superficialità, e magari lo si trova anche. Ma vogliamo renderci conto che ci siamo trovati di fronte ad uno tzunami senza precedenti?

Niente dietrologie Presidente, guardiamo all’oggi: anche perché il Covid-19 non è certamente ancora sconfitto….
Oggi tutte le strutture sociosanitarie sono senz’altro più attrezzate di un anno fa, e si stanno muovendo secondo protocolli rigorosi. Per entrare come ospiti occorre aver superato un tampone negativi, e le visite dei parenti sono sospese, se non in casi eccezionali autorizzati dall’autorità competente. Per questo noi del Gabbiano abbiamo allestito dove possibile la ‘stanza degli abbracci’, ossia un’area in cui parenti e ospiti possono incontrarsi e abbracciarsi, ovviamente in maniera del tutto asettica, attraverso appositi strumenti. Ma cercando di dare attenzione al comfort, ai colori, al clima di affetto e di cura. Questo ovviamente non basta, ma è un segnale importante, che è stato molto apprezzato.

Però, altrettanto importante, c’è l’aspetto finanziario. Facciamo due conti in tasca al settore?
Sono conti drammatici. Il nostro è un settore che, già viaggiando a pieno regime, ha una marginalità bassissima: e ci sta, perché non dovrebbe essere un business in sé, ma un’attività con profonde finalità etiche. Ma questo non può significare in perdita: i conti devono sempre tornare, o si arriva al collasso, oppure si pesa oltremodo sulle spalle di qualcun altro. Oggi diverse case di riposo, anche in provincia di Alessandria, rischiano la chiusura, perché tra decessi e mancati ingressi in tante strutture si sono persi anche il 30-40% dei posti letto. Senza contare la questione della carenza di personale qualificato…

Per forza, Asl e Aziende Ospedaliere hanno fatto assunzioni massicce di infermieri e oss, perlopiù in uscita da strutture private sociosanitarie…
Il che ci sta: non sono certo contrario al libero mercato, e al fatto che le persone scelgano liberamente dove e per chi lavorare. Ma torniamo ancora al problema della mancata programmazione: i posti universitari di infermieristica sono insufficienti, e non ci sono abbastanza corsi di formazione per operatori sociosanitari: non sono pochi i casi di chi, per fare l’OSS, è costretto ad andare a studiare fuori Regione e a pagamento, il che è francamente inaccettabile. Si parla tanto di disoccupazione: ma qui mancano i lavoratori, non il lavoro. Specie infermieri, OSS, educatori, fisioterapisti.

Oggi quanto costa, per una famiglia piemontese, ricoverare un congiunto in casa di riposo? Il paramero reddito quanto incide? Sarete costretti ad aumentare le rette per fare tornare i conti?
A parte casi particolari, il reddito non incide in maniera significativa: la Costituzione sancisce il diritto alla salute, e alle cure, per tutti i cittadini. Oggi il costo complessivo, reale, per una persona che vive in casa di riposo si aggira attorno ai 30 mila euro l’anno, ossia 2.500 euro al mese. Cifra che non tutti gli anziani, o le famiglie, possono permettersi: per questo è possibile chiedere un intervento all’Asl di competenza. Qui emerge l’anomalia alessandrina: non da oggi, da noi l’Asl ritiene di destinare a questo tipo di intervento cifre inferiori rispetto al resto del Piemonte. Il che, in sostanza, fa sì che lo stesso tipo di residenzialità in casa di riposo, a famiglie di pari reddito, può costare alle famiglie 1.200 euro altrove, e 1.800, 2.000. 2.500 euro a casa nostra. Il dato inaccettabile è che a Torino una famiglia ha l’80% di probabilità di pagare 1.200 euro, ad Alessandria questa percentuale è del 10%, quando va bene del 20%! Questa è un’ingiustizia per le famiglie e un problema per le RSA, specie quelle gestite dal non-profit, ma escluderei che si possano ancora aumentare le rette, questo mi pare davvero inattuabile. La Regione deve aiutare di più le famiglie, integrando di più le rette; così, si aiutano anche le RSA.

La Regione Piemonte però, proprio la scorsa settimana, ha deliberato sostegni significativi per il settore….
Speriamo davvero che sia così, ma fino ad oggi slogan tanti, promesse anche, concretezza pochissima. Anche questi ultimi provvedimenti mi pare rientrino nella logica del ‘bonus’, niente di strutturale insomma. Consideri che solo per dispositivi di sicurezza personale, ossia guanti, mascherine, igienizzanti e così via, abbiamo avuto costi pari a 5 o 6 volte l’anno precedente. Senza contare tutto il resto, dal calo degli ospiti alla fuga del personale. Senza un intervento rapido, serio e, ripeto, strutturale e non una tantum l’intero comparto è a rischio sopravvivenza: e la nostra comunità non credo possa permetterselo.

La politica cosa può e deve fare?
La politica in Piemonte si è mostrata sin qui assolutamente impreparata ad affrontare le vere criticità del nostro settore. Non ne faccio badi bene, una questione di parte, centrodestra o centrosinistra, ma di mancanza di strategia di medio lungo periodo, e forse anche di conoscenza della realtà. La politica deve decidere, e conseguentemente agire. Momenti di emergenza e crisi come questo sono anche l’occasione per ridisegnare completamente il futuro, decidendo quale modello assistenziale si intende adottare. Semplifico per andare al sodo: noi al Gabbiano ci siamo sempre battuti perché una casa di riposo moderna sia prima di tutto una casa, appunto: un luogo dove si vive, non dove si va a morire; è il modello relazionale, basato sulla vita e sulla compagnia, non sulla malattia . Quindi servono non solo infermieri e oss, ma soprattutto educatori, psicologi, animatori: in una parola, professionisti della relazione e della compagnia, capaci di interagire con gli ospiti, comprenderli, coinvolgerli e stimolarli. Perché gli anziani, e non ultimi i familiari, hanno bisogno di compagnia, di parlare, di sfogarsi, di fare attività insieme, di non essere soli, identificati con la malattia come oggi troppo spesso succede. Gli anziani, se ci stiamo insieme, sono come i giovani: trasmettono un’energia vitale, un amore par la vita che nessun’altra cosa può darci. Assistiamo tutti i giorni a veri e propri miracoli nelle nostre residenze: anziani con prognosi di vita brevissima si riprendono, ritrovano la voglia di vivere… e vivono a lungo. Nascono storie d’amore in RSA, diciamo anche questo. È il frutto del ‘modello relazionale’.
L’altro modello è la casa di riposo come luogo che accompagna alla morte, piccola struttura sanitaria in cui i degenti si tengono puliti, si dà loro da mangiare, e li si mette a trascorrere la giornata di fronte alla tv. Ecco, questo è il modello peggiore, lo dico senza mezzi termini. Ma ha il vantaggio di costare meno? Non sempre, anzi il costo indiretto è sempre superiore. Ma si dicono un sacco di frottole per rassicurare la gente con la retorica sanitaria. Per cui non vorrei mai, non dobbiamo perdere questa occasione storica.