Il neurochirurgo Barbanera: “L’ospedale di Alessandria ha una potenzialità enorme”

Andrea Barbanera, neurochirurgo, genovese, classe 1969, ha toni pacati, concreti e diretti, non usa giri di parole. «Abbiamo il personale e le strutture, le specialità e una organizzazione in grado di fare compiere un salto di qualità significativo» aggiunge.

Da undici anni ad Alessandria, Barbanera guida la Neurochirurgia, struttura da circa novecento interventi all’anno, tutti di alta specialità e punto di riferimento extraregionale in particolare per l’attività cranica. Ma adesso il medico parla anche come nuovo direttore del Dipartimento Chirurgico che comprende le specialità di chirurgia diurna e ambulatoriale multidisciplinare aziendale, chirurgia generale, cardiochirurgia, chirurgia toracica, chirurgia vascolare, neurochirurgia, urologia, chirurgia plastica e ricostruttiva, oculistica, ortopedia e traumatologia, otorino-laringoiatria, strutture in cui vengono svolti, in media, dai dieci ai quindicimila interventi all’anno. «Quando si è profilata questa opportunità, mi sono messo a disposizione perché credo fermamente in una grande possibilità di crescita per tutto l’ospedale».

Racconta con semplicità quello che è un passo che «spaventa anche un po’ perché devo garantire un livello di attenzione molto alto», ma rispetto al quale ha una certezza: «La coesione di un Dipartimento che svolge un’attività complessa, fondamentale, dalla forte capacità attrattiva, è essenziale per ottimizzare le risorse e migliorare i servizi per il paziente. Siamo un ospedale pubblico in cui un taglio gestionale efficiente, attento alle esigenze dei singoli reparti, del personale, degli obiettivi, è in grado di assicurare un necessario cambio di passo che vede da un lato la cura e dall’altro l’attività scientifica. La nuova struttura deve fare da collettore di tutte le esigenze, deve far e da filtro e stabilire le priorità, condividendo le strategie aziendali e riportandole all’interno delle singole realtà». Il direttore di Neurochirurgia lo dice chiaramente: il mettersi, prima, a disposizione e, poi, accettare l’incarico è «una sfida e una occasione di crescita personale, professionale e per l’azienda stessa perché quello cui dobbiamo guardare è il futuro di questo ospedale».

Un futuro in cui la ricerca giocherà un ruolo fondamentale. «Assolutamente. Per il Dipartimento l’aspetto prevalente è quello organizzativo, mentre invece la presenza delle Unit disease, penso per esempio a Neuroscienze, è quella che combina in pieno l’attività clinica e quella scientifica operando in un ambito di multidisciplinarietà».

Tutto questo come si concilia con la direzione di Neurochirurgia? «Non posso nascondere anche la difficoltà di questa nuova esperienza, visto l’aumento dell’impegno, che sicuramente mi piace molto e mi mette nelle condizioni di guardare da una prospettiva nuova, alta, globale all’attività ospedaliera. Ma credo che sia questo il valore aggiunto che voglio continuare a portare all’interno del reparto in cui lavora un gruppo di professionisti altamente qualificato, dai medici a tutto il personale, che interpreta al meglio il ruolo di una specialità strategica». I numeri degli interventi lo confermano, come lo conferma l’attività interdisciplinare, per esempio, con l’Anatomia patologica diretta da Paolo Nozza (neuropatologo) per il trattamento del glioblastoma, una delle forme più aggressive di tumore cerebrale. Per l’attività cranica, come viene chiamata, la Neurochirurgia di Alessandria rappresenta uno dei centri di riferimento del nord ovest. Gli interventi per tumori cerebrali non si sono mai fermati nemmeno durante la prima ondata pandemica del 2020 e grazie a un forte rapporto con il territorio del Quadrante sud est e all’alta specializzazione non solo i dati della mobilità passiva sono bassissimi, ma anzi sta aumentando la presenza di pazienti da fuori regione, a cominciare da Liguria e Lombardia.

Questi tipo di patologia è in aumento? «Sì, lo è e colpisce mediamente la fascia di età fra i 50 e i 60 anni. Stiamo studiando le casistiche e non esiste ancora un dato scientifico certo, ma quello che mi sento di dire è che è possibile anche una influenza ambientale su questo tipo di tumori».

Quindi è fondamentale la ricerca, dalle Unit disease fino al futuro Irccs (istituto di ricovero e cura a carattere scientifico) per le patologie ambientali e mesotelioma. «Assolutamente perché porterebbe a un salto di qualità incredibile, oltre alle ricadute economiche, per lo sviluppo di innovativi progetti di ricerca, e a quella di immagine. Ma sopra a ogni cosa c’è il fatto che la ricerca di permette di curare sempre meglio».