Perla (Aiop): “Sanità privata piemontese pronta a dialogare sugli scenari post Covid: restituire l’ospedale di Tortona alla città e insieme costruire un nuovo modello di gestione integrata”

di Ettore Grassano

 

“Potrà sembrare una provocazione dirlo ora, mentre per necessità si parla soltanto di Covid-19: ma la vera sfida per la sanità piemontese comincerà alla fine della pandemia, che ovviamente tutti ci auguriamo possa essere sconfitta prima possibile”.
Giancarlo Perla, tortonese doc, è da oltre vent’anni presidente regionale dell’Aiop, l’Associazione degli ospedali e cliniche private del Piemonte. Un osservatorio senza dubbio privilegiato, che gli consente di avere ‘il polso’ del fabbisogno sanitario piemontese, e anche delle criticità del sistema.

 

Dottor Perla, lei ha una lunghissima esperienza alla guida della sanità privata della nostra regione. Ha lavorato in tutto il Piemonte dirigendo molte cliniche, conosce la sanità della nostra regione come poche altre persone, poi ha ampliato i confini dei suoi interessi e per anni ha seguito la politica sanitaria europea come rappresentante dell’Italia a Bruxelles. Ora si è trasferito stabilmente a Tortona nella casa di famiglia: è forse il segno di un avvicinamento all’ospedale della sua città?
Beh, certo, seguirò più da vicino gli sviluppi connessi al futuro dell’ospedale di Tortona ma intanto continuerò la mia normale attività spostandomi regolarmente tra Torino, Roma e Bruxelles, covid permettendo. Nella fase post epidemica la Regione dovrà pronunciarsi e se riterrà utile sperimentare una cogestione costruiremo insieme una progetto alla realizzazione del quale mi piacerebbe dedicarmi personalmente. Ho sempre cercato di rendere compatibile l’attività lavorativa con la vita privata e quindi il futuro è legato a scelte condivise, quindi vedremo …

 

Per ora resta l’emergenza covid e anche voi siete impegnati a sostenere lo sforzo che tutto il sistema sta facendo per uscire da un’epidemia che non sembra rallentare…
In questo particolarissimo 2020 le 36 strutture sanitarie dei vari Gruppi privati che fanno capo a Aiop Piemonte si sono messe a disposizione della sanità pubblica, e l’hanno supportata nell’emergenza, talora trasformandosi anche completamente in ‘covid hospital’, come nel caso attuale della clinica Salus di Alessandria, l’ospedale Gradenigo e Villa Maria Pia a Torino, la clinica Eporediese ad Ivrea, per fare qualche esempio. Non amo l’autoreferenzialità, stiamo facendo il nostro dovere e basta.

 

 

Ma il fulcro della riflessione con il Dottor Perla è altrove: proviamo cioè a proiettarci in uno scenario post Covid, e a fare i conti con un bisogno crescente di sanità dei piemontesi (l’età media nella nostra regione è, per fortuna, tra le più elevate d’Italia, e d’Europa) che va di pari passo con risorse sempre più scarse. Come riorganizzare dunque il sistema sanitario regionale, in maniera che nei prossimi anni possa essere più performante sul fronte delle prestazioni e dei servizi erogati, ma al contempo economicamente sostenibile? E quale potrà essere l’apporto della sanità privata convenzionata? Davvero i privati possono essere risolutivi, in situazioni in cui il pubblico oggettivamente ‘annaspa’, rischiando di affondare? Il caso dell’Ospedale di Tortona potrebbe, da questo punto di vista, essere paradigmatico, e fare da apripista.

 


Dottor Perla, cominciamo dando i numeri. La litania ‘il sistema sanitario piemontese è a rischio’ la ripetiamo da anni. Concretamente però cosa significa?
Significa che i conti davvero non tornano, purtroppo, e questo a prescindere dall’emergenza Covid, e dalla possibilità che dall’Unione Europea arrivino risorse reali: che comunque non possono essere infinite, e non cambiano lo scenario strutturale. I numeri parlano chiaro: la sanità pubblica piemontese, che è un’ottima sanità, con punte di vera eccellenza, è andata già più volte sull’orlo del default in termini di sostenibilità economica, e nonostante il Piano di Rientro degli ultimi anni è tutt’ora a rischio. Nel senso che genera un passivo più o meno stabile di 200 milioni di euro l’anno: ma per quanto sarà possibile sostenerlo?

Caro Assessore Saitta, se 4 ore di attesa per una prenotazione e 4 mesi per una visita in ospedale per lei sono normali.... CorriereAl

 

Questo nonostante negli ultimi anni ci siano stati tagli importanti sul territorio, specialmente in province come la nostra? Mettiamoci nei panni del cittadino/paziente che, sulla propria pelle, ha visto gli ospedali locali fortemente ridimensionati, e al contempo il prelievo fiscale costantemente in crescita, per i privati e per le aziende. Com’è possibile che nulla sia migliorato?
Non spetta a me esprimere valutazioni politiche. Da tecnico, constato però che il disavanzo di circa 200 milioni di euro è pressoché stabile negli anni, ed è generato da due cause principali: 1) il ‘Sistema Molinette’, a Torino che genera da solo un passivo di circa 100 milioni di euro l’anno 2) la mobilità passiva, ossia i costi generati dai piemontesi che scelgono di curarsi altrove, in primis Lombardia: e la Regione Piemonte paga i conti. Parliamo complessivamente di altri 100 milioni di euro, più o meno. Ed ecco spiegato il passivo annuale della sanità piemontese.

 

Cisl: "Fuga dalla sanità: giovani e anziani alessandrini vittime del 'caro cure'" CorriereAl

 


A proposito di Lombardia: lì la sanità privata convenzionata ha un peso decisamente più forte che da noi, anche forse per la presenza capillare dei Pronto Soccorso in numerose strutture. Lei è anche Direttore Generale del Policlinico di Monza e conosce la realtà lombarda. E’ per quello che la sanità funziona meglio?
(riflette, ndr) Sanità piemontese e lombarda hanno modelli organizzativi e gestionali molto diversi, ma non parlerei di meglio o di peggio. Certamente quella lombarda è un’ottima sanità, che ha vissuto nei decenni scorsi stagioni di grande rilancio e splendore, con la capacità di rinnovarsi anche nei suoi rapporti con il privato. Ma la Lombardia, me lo consenta, ha anche da sempre una grandissima capacità di fare marketing, e di vendersi al meglio. Sia chiaro: saper vendere bene un ottimo prodotto è un merito aggiuntivo, non un limite. Poi c’è un dato oggettivo: la Lombardia è la regione italiana con il maggior tasso di mobilità attiva: ossia tantissime persone partono da altre regioni, per curarsi negli ospedali lombardi. Il Piemonte, per ragioni evidenti di confini, da Domodossola a Tortona, è in prima fila in questo ‘esodo’ per la salute: abbiamo una mobilità passiva pesantissima, per i 9/10 indirizzata verso la Lombardia.

 


Quindi le rigorose ristrutturazioni degli anni scorsi, soprattutto nel quinquennio Chiamparino, con pesanti tagli soprattutto alle strutture ospedaliere e territoriali di province come la nostra, non sono servite praticamente a nulla?
Certamente non sono state risolutive per il conto economico: non lo dico io, ma i conti in rosso della sanità in Piemonte. In compenso hanno generato un significativo, in qualche caso addirittura drastico, ridimensionamento di strutture, prestazioni ospedaliere, servizi territoriali.

 

 

Dottor Perla, i tagli di cui parla hanno interessato pesantemente le strutture di casa nostra: soprattutto i presidi ospedalieri dell’Asl Al, da Tortona a Ovada, ad Acqui Terme. Decisamente meno Casale Monferrato e anche Novi Ligure, e lì si parlò all’epoca dello ‘zampino’ della politica. Da oltre un anno attorno all’Ospedale di Tortona si è scatenato un dibattito interessante, e forse aperto un percorso, che il Covid ha interrotto. Se ne riparlerà a breve? Ci saranno novità sostanziali nel 2021?
E’ una domanda che dovrebbe rivolgere in prima battuta al Presidente Cirio, e all’assessore regionale alla Sanità Icardi. Con loro il dialogo è costante, anche se inevitabilmente da febbraio ad oggi le priorità sono state altre, dettate dalla gestione dell’emergenza. Certamente nei mesi scorsi i sindaci del Tortonese, a prescindere dal loro orientamento politico, hanno espresso alla Regione Piemonte una richiesta chiara: fare in modo che il loro Ospedale, seriamente indebolito dal ridimensionamento degli anni scorsi, torni ad essere una struttura di eccellenza, e il punto di riferimento per una vasta fascia di popolazione, non solo cittadina, che oggi, tra l’altro, si rivolge in maniera sempre più massiccia alla sanità lombarda, incrementando quella mobilità passiva di cui già abbiamo parlato.

 

 


I numeri di Tortona sono in effetti tragici: in una situazione pre Covid, si parla di costi di gestione di 35 milioni di euro, a fronte di 26 milioni di entrate figurate: oltretutto avendo ormai smantellato alcuni dei reparti più strategici: come può reggere una realtà simile?
Da addetto ai lavori, ritengo che ci sia una sola strada alternativa al default o allo smantellamento: riattivare diversi reparti strategici ormai dismessi, dalla cardiologia alla rianimazione alla ginecologia, oltre naturalmente alla neurologia e al pronto soccorso. Ricorrendo ad una partnership con il privato, se il pubblico per tante ragioni ritiene di non essere in grado o interessato a procedere da solo. In più, da tortonese innamorato della mia terra, aggiungo che un’area così vasta, che si estende dalla pianura alle valli, non può essere abbandonata a se stessa, e di fatto ‘regalata’ alla Lombardia.

 

 

Tortona potrebbe essere ‘apripista’ e format di un modello replicabile in altre zone della provincia, e del Piemonte?
In altre zone del Piemonte esiste certamente la possibilità di percorsi similari. In provincia di Alessandria sono più scettico: perché il privato accreditato sia interessato ad impegnarsi, e a rischiare, occorre certamente che esista una adeguata ‘domanda’ di sanità, e serve la presenza di ospedali a-deguati, sia dal punto di vista della struttura che delle infrastrutture tecnologiche e del personale. Tortona è un caso esemplare: un ospedale piccolo ma moderno, e ben attrezzato, grazie soprattutto agli investimenti della locale Fondazione bancaria, che credo non verrebbero meno in futuro. Insomma credo che tocchi alla Regione Piemonte fare le proprie valutazioni, e decidere se e come procedere. Sul fronte procedurale si possono percorrere diverse strade: la gara europea, il partnerariato pubblico privato, la sperimentazione gestionale. Affidando ad un qualificato soggetto ‘terzo’, magari universitario, il compito di redigere un progetto super partes. Quel che conta è che ci sia la volontà politica di procedere.

 

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Ma perchè e come il privato può riuscire dove il pubblico ha fallito?
Non amo citarmi, ma forse un esempio concreto è più illuminante di tante parole. Il mio gruppo, il Policlinico di Monza, gestisce in Piemonte numerosi ospedali, tra cui ad Alessandria la Salus e la Clinica Città di Alessandria. Ebbene, in queste due realtà i costi del personale ‘pesano per circa il 50% del budget, e più o meno la metà del ‘fatturato’ per le prestazioni erogate arriva da rimborsi per pazienti extra Piemonte: soprattutto dal sud Italia per l’area cardiovascolare, e dalla Liguria per ortopedia e riabilitazione. Insomma, è la dimostrazione che anche in Piemonte la mobilità da passiva può diventare attiva, se si riesce ad avere un’offerta di sanità davvero attrattiva.

 

Ultima riflessione, dottor Perla: da tanti anni si parla di un nuovo ospedale per Alessandria, e a lungo si è discusso anche di una nuova struttura a metà strada tra Tortona e Novi Ligure. Secondo lei ci si arriverà mai?
Mai non so: in tempi realisticamente brevi mi pare improbabile, per tante variabili più o meno evidenti. Al capitolo risorse scarse aggiungo anche una riflessione logistica: gli alessandrini sarebbero contenti di andare a curarsi in un ospedale diversi chilometri fuori città? Tortonesi e novesi si muoverebbero volentieri, per incontrarsi a metà strada? E poi cosa ne farebbe la Regione di quelle grandi strutture nei centri urbani, in un momento storico certamente non di espansione, anche sul fronte edilizio?