Morra calabrese [Il Flessibile]

di Dario B. Caruso

 

I giochi dei bambini del secolo scorso avevano doti di semplicità e di violenza implicita; i bambini di oggi, fragili come sono, non reggerebbero all’impatto e fioccherebbero le denunce per bullismo.

La morra cinese ad esempio si giocava con niente ed era spietata come un duello da spaghetti western.

Due bambini uno contro l’altro, soli, con il mondo intorno che tace in una stasi sospesa per una manciata di secondi.

Poi mano contro mano ciondolando il braccio fino a lanciare il proiettile: sasso, forbice o carta. Uno vinceva, l’altro soccombeva.

In Calabria si gioca una partita ben diversa, drammatica e altrettanto spietata.

Nicola Morra, presidente della Commissione Antimafia, denuncia senza mezze misure le collusioni tra la politica locale e la malavita organizzata; lo fa con parole dolorose nella forma ma plausibili nella sostanza.

È la prima volta dopo molti anni che una personalità politica di spicco per competenza e professionalità nonché per ruolo alza i toni nei confronti della mafia.

Oltretutto le dichiarazioni fanno seguito a vicissitudini che hanno l’obiettivo di smuovere le acque già torbide e cercare di chiarificarle.

I media si stupiscono (o fingono di farlo) quando sbandierano infiltrazioni della mafia nella vita dei cittadini e dello Stato; oggi che lo Stato prova a scalzare la corruzione e il malaffare si vuole colpire Morra.

Tutti abbiamo ancora negli occhi le immagini di Michele Placido nei panni del Commissario Corrado Cattani che nell’episodio conclusivo de “La Piovra” viene crivellato di colpi.

Così muore senza fare rumore.

Ecco, Morra calabrese è un gioco al massacro che non mi piace.

Vedo un uomo che getta carta e i numerosi nemici che lanciano forbice.

Non mi piace, non mi piace per niente perché questo non è un film.

Almeno da bambini si giocava ad armi pari.

Dopo aver giocato, perso o vinto che fosse, si andava insieme a prendere il gelato.

E si era pronti per cambiare il mondo.