Quelle notti sadiche di Rino Casazza [ALlibri]

A cura di Angelo Marenzana

 

Un ritorno sempre gradito qello di Rino Casazza sulle pagine di ALlibri, scrittore bergamasco e autore di undici romanzi che svariano in tutti i filoni della narrativa di genere, tra cui diversi apocrifi che vedono rivivere come protagonisti i più grandi detective della letteratura di genere, da Sherlock Holes a Padre Brown, Dracula, Charlie Chan e Auguste Dupin. Con il suo ultimo romanzo, Quelle notti sadiche pubblicato da Edizioni Algama, Rino Casazza si dedica al racconto della figura criminale che più lo affascina, il serial killer. “Si tratta, lo so, di una predilezione inquietante. Ma sono convinto che essi aiutano a esplorare il più grande mistero della natura umana: la malvagità.Ci confessa con ironia lo stesso autore. “Ma sono in buona compagnia. Qualcuno sostiene che, a forza di leggere e scriverne, finirò per diventare uno di loro, ma è solo una battuta, perché sono inguaribilmente refrattario alla violenza. Posso forse subirla, esercitarla sugli altri mai.”

Siamo nel dicembre 2012. Bergamo è sconvolta dalle gesta di un serial killer che uccide barbaramente giovani ragazze per poi violentarne con brutalità il cadavere. L’assassino sembra invisibile per la facilità con cui riesce, di notte, ad avvicinare e sorprendere le vittime senza che oppongano la minima resistenza. Sui corpi lascia un biglietto delirante, in cui paragona la propria virilità a quella del condottiero bergamasco Bartolomeo Colleoni, famoso per esser nato con tre testicoli. Per questo motivo il maniaco, in un paragone pienamente giustificato con Jack lo squartatore, viene soprannominato “Bart lo stupratore”. Il commissario capo Elio Colani, navigato dirigente di Polizia, si trova ad affrontare un caso senza precedenti nella storia criminale non solo bergamasca, ma anche italiana. Mentre il ripetersi di nuovi delitti a breve distanza di tempo fa crescere sempre di più il panico nella cittadinanza, le indagini procedono tra tentativi promettenti e svolte inaspettate. Ma solo attraverso una discesa dentro lo spaventoso cuore di tenebra dell’assassino sarà possibile scoprirne il volto.

Del romanzo Quelle notti sadiche proponiamo un brano del capitolo Medicina legale offrendoci uno spaccato di quello che può ssere definito un autentico thriller mozzafiato

Approfondire il referto necroscopico a tu per tu col Primario dell’Istituto di Medicina Legale degli Ospedali Riuniti non è cosa di tutti i giorni.

Invece il professor Lucio Agazzi, un sessantenne alto, asciutto e azzimatissimo, non ha avuto difficoltà ad accettare un appuntamento col Commissario Colani nel suo ufficio della Questura.

È un’altra prova, se mai ce ne fosse bisogno, che la città, in tutte le sue componenti, si sente  mobilitata a risolvere il caso di “Bart lo Stupratore”.

Colani si chiede se questo fervore civico, indubbiamente positivo, non dipenda in gran parte dalla popolarità mediatica del serial killer bergamasca, esemplificata dal mucchio di quotidiani locali e nazionali posati sulla sua scrivania, tutti con titoli sulla vicenda in prima pagina.  Per ora, alle 15 del 23 dicembre, ha ricevuto cinque richieste di intervista, una quota destinata ad aumentare. Ma i giornalisti famelici possono stare tranquilli: mancano due ore alla conferenza stampa che il questore ha organizzato nella sala riunioni della Questura.

Oltre all’impettito e facondo dottor Livio Comanduli, lo affiancherà Senzali. Colani accarezza l’idea di divertirsi un po’.

Contraddirà il questore, che ci tiene a far bella figura con la stampa, su qualche dettaglio investigativo che non può conoscere a fondo.

E chiamerà più volte possibile in causa il sostituto procuratore, che, per timidezza, nelle occasioni pubbliche tende a rifugiarsi in un atteggiamento rigido e abbottonato.

Ma per quel piccolo show canzonatorio c’è tempo, adesso bisogna condurre in porto la riunione, e non è facile.

Non per l’argomento macabro: i discorsi medico legali finivano sempre per depotenziare il dramma della violenza e della morte.

Il problema  è la presenza del capo della Polizia Scientifica all’incontro.

Perché il vice commissario Marcella Fumagalli non ha mandato l’ispettore Prandi, che è in gamba e ha partecipato al sopralluogo sulla scena del delitto?

Da quando, un anno prima, quella collega ha fatto irruzione nell’organico della Questura, Colani è divenuto antifemminista.

Pessima idea aprire alle donne i ranghi della polizia: sul lavoro uno ha il diritto di non rischiare infatuazioni!

Il guaio è che non si tratta di una delle solite battute.

La Fumagalli lo attrae davvero, e tanto.

Non per il normale gallismo dei colleghi uomini verso le colleghe donne avvenenti.

La Fumagalli non è il tipo della bellezza mozzafiato ma una trentenne dal fascino particolare.

Non molto alta, esile anche se ben proporzionata, con un seno di tutto rispetto, ha un viso dai lineamenti gentili che molti definirebbero angelico se non fosse per il naso, largo e sporgente.

È proprio questo difetto, ostentato con orgoglio quando si potrebbe facilmente correggerlo con la chirurgia estetica, a calamitare l’interesse di Colani.

Appena la donna entra nel suo raggio visivo, fatica a non incollargli lo sguardo addosso. Se poi si mette a parlare, l’effetto magnetico cresce, per il contrasto ammaliante tra il timbro di voce, dolce e femminile, e l’argomentare competente e sicuro.

In quel momento la Fumagalli, seduta dall’altra parte della scrivania, accanto al gigantesco ma impacciato De Angelis, messo in soggezione dalla competenza e brillantezza  della collega, ha preso la parola e sta sollecitando ad Agazzi un chiarimento scabroso.

«Scusi professore, siamo sicuri che il maniaco, mentre penetrava la vittima, sapesse che era morta?»

«Cioè?» ribatte Agazzi, sulla difensiva.

Come spesso accade, la Fumagalli attira tutta l’attenzione su di sé. I presenti la fissano in attesa che parli, così Colani può bearsi della sua vista senza dare nell’occhio.

«Se devo essere sincera,» spiega «non sono convinta che il serial killer abbia pulsioni necrofile. Forse vuole violentare donne vive.»

«Ho capito» fa Agazzi, più sollevato. «Pensa che si ritrovi morte le vittime per l’incontrollabilità del raptus.»

Colani, perso nella contemplazione della Fumagalli, riesce a rimanere insensibile ai risvolti insopportabilmente macabri del discorso.

«Devo deluderla,» prosegue Agazzi. Ha ripreso il suo tono ex cathedra,  Vi si avverte, in sottofondo, il gusto di mettere in riga un allievo brillante ma presuntuoso. «Le lesioni sui corpi delle ragazze non lasciano dubbi sulla sequenza di azioni compiute dal maniaco. C’è prima un colpo sulla nuca, inferto con un pesante oggetto tondo, che tramortisce la vittima. Segue a breve distanza un più violento colpo alla tempia, mortale. Da questo momento in poi, incominciano le operazioni “rituali” sui cadaveri: la gragnola di coltellate sul viso e sui seni, poi la penetrazione.»

«Mi chiedo perché due armi, il corpo contundente non meglio identificato, che potrebbe essere un semplice  sasso, e il coltello.»

Da non crederci: l’osservazione era venuta da De Angelis. Eppure Colani sa che, quando si entra in quei particolari raccapriccianti, il corpo delle vittime, nell’immaginazione dell’ispettore, tende ad assumere le fattezze della figlia Elisabetta.

«Mi rifarei al discorso della ritualità,» fa Agazzi. «Il sasso, o di cos’altro si tratta, è lo strumento  per uccidere, il coltello quello per brutalizzare il cadavere…»

«Forse…» interviene la Fumagalli, che pare volersi prendere una rivincita. «A me sembra possibile anche un’altra spiegazione: la botta in testa è più pratica se si vuole sorprendere la vittima…»

Già. L’acuta collega ha richiamato uno dei problemi dell’indagine: i rapporti tra le vittime e l’assassino.

A dicembre, in pieno inverno, al buio, non ci si trattiene oltre l’orario di chiusura con uno sconosciuto nel parco Suardi.

Tanto meno ci si apparta con uno sconosciuto, in una notte senza luna, su una montagnola vicino al casello di Dalmine.

Si può farlo, invece, ecco il succo dell’osservazione della Fumagalli, con una persona da cui mai e poi mai ci aspetteremmo che ci colpisca in testa, violentemente,  con un sasso.

Essendo improbabile che la paurosissima  Finazzi, col precedente dell’altro omicidio, abbia accettato di appartarsi con chicchessia, Colani non esclude che il coltello sia servito all’assassino per tenerla sotto minaccia e costringerla a seguirlo. Rimane da spiegare, in questo caso, perché non l’abbia uccisa sgozzandola, invece di ricorrere al supposto sasso, ma può darsi  che il ritualismo gli imponga di usare il coltello solo per sfregiare i cadaveri.

«Sia come sia,» fa Agazzi, infastidito, adesso. «un fatto mi sembra incontrovertibile: il maniaco arriva preparato ai suoi agguati. Prova ne è l’uso di un preservativo durante il rapporto.»

Questa volta è Colani a minare l’affermazione di Agazzi. Per l’innato spirito beffardo, ma soprattutto per schierarsi con quella splendida creatura della Fumagalli nella sua schermaglia col professore.

«È da dare per certo?»

Agazzi gli lancia un’occhiata in cui lo stupore si mescola a un’aperta irritazione. «La prova matematica non c’è, ma la mancanza di liquido seminale nella vagina depone in questo senso.»

Colani si guarda dall’insistere: l’ipotesi di uno stupratore di cadaveri che pratica il coitus interruptus è improponibile persino come trovataccia da umorismo macabro.

In verità, lo stesso uso del profilattico sfiora l’assurdo.

Non solo perché, come gli hanno spiegato, dovrebbe trattarsi di un modello rinforzato e lubrificato, per evitare che si squarci durante la penetrazione dell’asciutta e  non più elastica vagina di una morta.

L’aspetto più incomprensibile è il perché di quella protezione.

Al momento, prevalgono tre ipotesi, due psicologiche e una più investigativa.

Quelle psicologiche sono la paura di infettarsi e la ripulsa verso il contatto con l’organo sessuale di un essere “inferiore”.

Cannizzaro, consultato sottobanco, avversa la prima, e non si può dargli torto: una “patofobia genitale” del serial killer mal si concilia con la disinvoltura nel trattare fonti di infezione ben più insidiose, come il sangue e i tessuti organici squarciati delle vittime.

Quanto alla seconda, è stato proprio l’amico psichiatra ad avanzarla.

Colani ha provato a ribattere che nei confronti della vagina il maniaco non sembra mostrare ripulse di sorta, solo un feroce disprezzo, confermato dalla violenza delle penetrazioni. Per difendere la sua tesi, Cannizzaro è ricorso al sottile argomento della “complementarità tra aggressione e repulsione”.

La terza ipotesi , più lineare, vede dietro l’uso del profilattico lo scopo di non lasciare tracce del proprio seme. Ma anch’essa non convince.

Il maniaco è un anonimo, per di più si protegge da un’identificazione evitando di lasciare qualsiasi tipo di impronta.

Cosa può temere dall’analisi dello sperma? Forse che la polizia per riscontro sottoponga a prelievo spermatico l’intera popolazione bergamasca?