Morire di gioia [Il Flessibile]

di Dario B. Caruso

 

Nel V secolo avanti Cristo a Rodi visse un tale di nome Diagora.

Fu campione di pugilato e vinse l’alloro olimpico.

Ebbro di gioia e forte della sua potenza fisica, ricoprì importanti ruoli politici, mise su famiglia ed ebbe quattro figli, una femmina e tre maschi.

I tre maschi crebbero e seguirono le orme del padre, diventando invincibili nella lotta e nel pugilato.

I tre giovani si laurearono campioni nelle discipline olimpiche e lo fecero nello stesso giorno.

Diagora fu talmente felice di questo triplice successo che, dopo aver abbracciato i figli, morì.

A volte la storia, farcita con una buona dose di romanzo, ci riporta indietro nel tempo per poi catapultarci nuovamente nell’oggi.

Daniele ed Eleonora erano appena trentenni e felici, così almeno ci raccontano le immagini e le persone a loro vicine.

Avevano progetti intorno ai quali crescere insieme, una prospettiva comune, una famiglia da costruire.

La loro gioia si è materializzata in una spada impugnata da un ragazzo; quella lama li ha trafitti e uccisi.

“Erano troppo felici, mi è montata la rabbia” dice l’assassino travestito da amico.

 

Willy aveva vent’anni e credeva fortemente nel senso dell’amicizia.

Affrontava – così dicono le cronache – le difficoltà della vita col sorriso.

Quel sorriso si è spaccato una sera di settembre, assieme al cuore e al fegato, sotto calci e pugni.

“Non ricordo, sono in stato confusionale” dice uno di quegli assassini travestiti da sportivi.

 

Proprio in questi giorni mi è passata sotto gli occhi una frase di Gustave Flaubert: “Fate attenzione alla tristezza. È un vizio”.

Gioia e tristezza sono il bene e il male, due facce di una stessa moneta, due amanti che vanno a braccio.

Morire di gioia quindi è possibile.

Per la gioia propria o per la tristezza altrui.