Mercatino di Piazza Marconi [Un tuffo nel passato]

di Tony Frisina

 

Fra le migliori cartoline d’epoca che Alessandria possa vantare, ce n’è una che mi piace particolarmente; è quella che raffigura il mercatino della frutta e verdura di Piazza Marconi.

È la fotografia, il quadretto d’epoca dal gusto sopraffino, che illustra un angolo caratteristico della Città di inizio secolo, epoca in cui i banchi dei fruttivendoli erano veramente dei banchi: un piano d’appoggio con ruote cerchiate e stanghe per il trasporto del medesimo.

I banchi del giorno d’oggi sono veri e propri negozi ambulanti, muniti di corrente elettrica, con ogni tipo di comodità e completamente meccanizzati; molto spesso perfino la copertura viene azionata da un meccanismo elettrico utilizzando semplicemente una pulsantiera.

Ma a me piace parlare dei vecchi banchi, di quelli che venivano spinti a forza di braccia dai gestori.

Solitamente la conduzione dell’attività era di tipo familiare o – al massimo – bifamiliare e tra i membri della famiglia c’era il prescelto, il fortunato che mattina e sera si gamalava[1] il carretto con tanto di cassette contenenti la frutta e le verdure.

Le donne di solito erano le addette alla vendita. Certamente più che accorte ci sapevano fare in misura superiore agli uomini e forse erano maggiormente accattivanti nell’attirare e nell’aver a che fare con la clientela nelle trattative di vendita.

Di piazza Guglielmo Marconi – o, come tutti dicevano, di Piazza Marconi – ho sentito parlare da sempre, fin da bambino.

Ancor prima di scoprire chi realmente fosse stato Guglielmo Marconi il nome era evocativo di un luogo con tutto il suo corredo di mistero e di fascino.

Era il luogo magico per eccellenza in cui una famiglia di quasi parenti gestiva uno di questi interessanti banchetti; dai cugini e dagli zii, infatti, ascoltavo quasi quotidianamente il nome di quest’angolo cittadino.

La didascalia della cartolina indica questo posto con la generica denominazione che per anni sulle cartoline compariva: Largo Via San Giacomo della Vittoria e anche Largo in fondo a Via della Vittoria e Via San Lorenzo.

Quanto detto si riferisce al tempo antecedente la demolizione della vecchia fabbrica di biciclette Maino (che non si vede in foto in quanto ubicata alle spalle del fotografo) e quindi prima che al suo posto fossero create le aiuole che ancor oggi si possono vedere, arricchite da numerosi gelsi e da monumentali panchine di pietra[2].

Il banco dei miei ricordi, il carretto dei quasi parenti, (erano gli anni ‘50 e ‘60) che stazionava proprio di fronte alla famosa Gelateria Tattoli (di Nicola Tattoli), era gestito dalla famiglia Romeo.

Lidia , la quasi zia, era la bella e simpatica fruttivendola che per tutta la giornata stazionava presso il suo banco accontentando la numerosa clientela.

Salvatore, il marito, meglio conosciuto come Turi, il quasi zio, si occupava dell’approvvigionamento merci, facendo la spola con un triciclo a pedali tra la già citata Piazza Marconi ed il vecchio Mercato Ortofrutticolo, allora ubicato nell’isolato compreso tra Via Oberdan e Piazza Massimo D’Azeglio. Su questo sedime è stato poi costruito l’edificio che ospita la Scuola Media Statale Andrea Vochieri.

A sera, mentre con decine di amici giocavo nel cortile della mia infanzia (via Piacenza numero 18), ricordo che si sentiva il rumore del carretto che arrivava per essere riposto proprio in un magazzeno sito in quel cortile. Filippo, il papà di Turi, faceva ritorno con il suo prezioso banco/carretto.

Ecco, le rimembranze personali sfumano e si fondono con i particolari della cartolina, così come in un realistico sogno si riescono a confondere l’immaginazione con la realtà.

Poco più di trent’anni separano il momento dello scatto dagli anni della mia infanzia. Seppure questo intervallo di tempo sia relativamente breve, si avverte fortemente il peso di questi pochi decenni.

Diverse cose sono cambiate oltre all’aura che circonda la gente ed i palazzi raffigurati nell’immagine.

Apro una breve parentesi. È strano osservare in un’unica fotografia tante donne senza copricapo alcuno, senza un fazzoletto che coprisse loro i capelli. Forse le venditrici di frutta e verdura sono state le involontarie iniziatrici di una moda che ha portato un cambiamento abissale nelle abitudini del vestire, nella moda femminile. Il disuso del copricapo.

La pavimentazione a quell’epoca era in acciottolato (come nelle zone più fortunate della città) e al posto dell’attuale palazzo con i bovindi (come si può osservare nella cartolina), c’era una modesta e gradevole casetta ad un solo piano.

Possiamo scovare una miriade di altri particolari osservando attentamente la cartolina, a cominciare dall’abbigliamento delle persone, dalle pettinature delle signore, dai pochi mezzi di locomozione.

Un quadretto dal sapore antico, quasi una visione onirica, che ci dona la certezza di una comunità vitale, di un’umanità che si accontentava di vivere con semplicità, con le poche merci che forse – quando percorrevano tanta strada – arrivavano da Volpedo, da Refrancore, o addirittura da Garessio
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[1] Gamalava non sarà un termine corretto per quanto riguarda la lingua italiana ma mi piace così. Seppure la spiegazione risulti inutile, per correttezza e certamente non per fare un torto all’intuito del lettore non alessandrino, voglio specificare che il termine significa trasportava (anche con una certa fatica).

[2] Panchine è forse un termine poco adatto per definire questi ingombranti e pesanti manufatti. Abbastanza comode per la forma anatomica, fino a qualche anno fa sono state l’ideale per la cottura di bistecche, grazie alla giusta ed abbondante esposizione ai raggi del sole. Poi la messa a dimora di antichi gelsi – a detta di moltissimi cittadini una delle poche scelte positive della vecchia amministrazione comunale – ha reso ombreggiato e maggiormente gradevole il luogo. Quindi niente più bistecche alla piastra.

Largo-Via-San-Giacomo-della-Vittoria

Le principali realizzazioni del Comune di Alessandria

Opere stradali Speciale menzione meritano le opere stradali compiute dal Comune, esclusivamente con i mezzi del proprio bilancio, sia nel concentrico che nei vari sobborghi.

Per la città sono da segnalare:

Pavimentazioni permanenti in cubetti di porfido su sottofondo di calcestruzzo nel vialone della Stazione e in via Savona, piazza Vittorio Emanuele, via Milano, via Vochieri, via Guasco, via Migliara, via S. Lorenzo, via della Vittoria, via Trotti, piazzetta della Lega e piazza Marconi.

Pavimentazioni permanenti in masselli di granito in corso Roma, via Umberto I, via Dante, via Mazzini, via Cavour.

Pavimentazione permanente o semipermanente in conglomerato bituminoso a caldo (Topeka) in Spalto Rovereto e viale Milite Ignoto, via A. Mussolini, via Malta, piazzale piccola velocità e piazzale Littorio.

Trattamento superficiale bituminoso nei viali di circonvallazione, sul cavalcavia del Cristo e in corso Acqui, corso XX Settembre, strada del campo contumaciale, via Marengo, strada Orti-Ponte Tanaro.

Sistemazione primordiale a mac-adam[1] o con marciapiedi rilevati nelle zone di espansione della città.

[ATTIVITÀ E OPERE PUBBLICHE della Provincia di Alessandria nel tempo fascista – Fascicolo speciale della Rivista «Alexandria» – Anno VI – Supplemento al n. 8 – Alessandria, Agosto 1938-XVI]

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[1] Vedasi, o meglio, si ascolti il brano di Paolo Conte dal titolo Sparring Partner, in cui maggior cantautore Italiano cita questo sistema di bitumazione stradale.